Il recente articolo di Mauro Bottarelli sull’Ucraina e la Nato, pur con scarsa diplomazia, come ammette l’autore, pone in rilievo alcune questioni alla luce di un criterio sempre più trascurato: considerare il punto di vista della controparte.
Un punto di vista spesso ignorato quando ci sono di mezzo gli Stati Uniti e il loro “eccezionalismo”, anche se entrato in grave crisi. Se si considera la questione ucraina nell’ottica russa, abilmente sfruttata da Putin, la “sindrome da accerchiamento” non sembrerebbe ingiustificata. La Nato, che definisce Mosca come la principale minaccia, ha creato attorno alla Russia un anello di Paesi aderenti all’Organizzazione ed è inevitabile che ciò venga visto dalla controparte come un atto ostile.
Mosca è particolarmente sensibile verso un’entrata dell’Ucraina nella Nato, in quanto la vorrebbe piuttosto come uno Stato cuscinetto, funzione contenuta anche nel suo nome, che significa “Paese di confine”. E l’Ucraina può essere a pieno titolo un ponte tra Occidente e Oriente. È da notare, comunque, che anche diversi membri della Nato non sembrano così propensi ad accogliere Kiev, in particolare l’Ungheria si oppone esplicitamente. Il motivo è il rifiuto ucraino di consentire di utilizzare ufficialmente la propria lingua ai circa 150mila ucraini di lingua ungherese. Un rifiuto simile è stato attuato nei confronti del russo, parlato però da più di otto milioni di ucraini, il 17% della popolazione totale.
Dopo il 2014, il peso dei nazionalisti ucraini ha impedito non solo il riconoscimento del russo accanto all’ucraino, come era in precedenza, ma anche l’attuazione degli accordi, denominati “Minsk II”, che prevedevano una sostanziale autonomia del Donbass all’interno della Repubblica ucraina. Questa soluzione, che avrebbe posto fine alla guerra, era stata approvata nel 2015 da Ucraina e Russia con Francia e Germania. Sulla base dei sondaggi dell’epoca, questa risoluzione era accettata anche dalla maggioranza dei russofoni del Donbass.
Gli interessi della Russia sull’Ucraina sono evidenti, ma quali sono invece gli interessi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea? La sensazione è che venga soprattutto usata come un pungolo nei confronti della Russia. Si è già detto delle esitazioni da parte della Nato, al di là delle dichiarazioni di facciata, determinate non solo dalle probabili reazioni di Mosca. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, ha recentemente dichiarato che l’adesione dell’Ucraina è condizionata al raggiungimento di criteri importanti, quali la riforma delle istituzioni e la lotta alla corruzione. Gli stessi argomenti posti per l’eventuale entrata nella Ue ed è significativo che nel 2016, negli “europeisti” Paesi Bassi, un referendum consultivo abbia dato risposta negativa. Il governo dell’epoca si impegnò a rispettare la volontà popolare.
Nella questione ucraina rientra anche la vicenda del Nord Stream 2, il gasdotto che raddoppia la quantità di gas che dalla Russia arriva in Germania e che è pronto ad entrare in funzione. Washington chiede che il gasdotto non venga attivato, sia perché aumenterebbe la dipendenza europea dal gas russo, sia perché permetterebbe a Mosca di interrompere il flusso di gas attraverso l’Ucraina, riducendo l’apporto finanziario a Kiev. Bottarelli ha già illustrato nel suo articolo le conseguenze negative sui prezzi dell’energia in Europa, effetti da cui gli States sono immuni, anzi vedono la possibilità di diventare esportatori verso l’Europa. Io aggiungerei che, mettendomi nei panni di Putin, non avrei probabilmente scrupoli a tenere sul filo Paesi che mi fanno la guerra e poi pretendono che li aiuti in caso di crisi energetica. E senza aumentare i prezzi.
Anche questi problemi energetici verrebbero risolti dalla completa attuazione degli accordi “Minsk II”, perché una Ucraina non più area di conflitto, ma ponte tra Ue e Russia, ritornerebbe un affidabile punto di passaggio anche per il gas russo. Più affidabile, senza dubbio, della Bielorussia che minaccia di interrompere i gasdotti che transitano nel suo territorio. Certo, l’attivazione completa dei gasdotti che arrivano in Germania e attraversano l’Ucraina aumenterebbe la pesante dipendenza dalla Russia, che già conta per più del 40% delle importazioni Ue. Tuttavia, vi sarebbe un interesse comune che faciliterebbe l’attenuarsi delle tensioni tra i Paesi. Rimarrebbe l’obiezione di molti sulle caratteristiche autoritarie del governo di Mosca, ma le alternative non sono migliori, a meno di considerare completamente democratici governi come quelli di Algeria e Qatar, altri significativi fornitori di gas all’Ue.
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