Non c’è dubbio che uno degli strumenti attraverso i quali la Francia ha salvaguardato i suoi interessi in Africa è stato anche il potere militare. Infatti, tra il 1960 e il 1991 è stato certamente uno dei paesi che ha schierato il maggior numero di forze armate in Africa dal momento che ha realizzato circa 40 interventi militari in 16 paesi per tutelare, dal suo punto di vista in modo legittimo, i suoi interessi economici.



Non è un caso che la Francia possieda non solo numerosi basi militari in Senegal, Costa d’Avorio, Gabon, Burkina Faso, Mali, Niger e Ciad, ma addestri consiglieri militari e ufficiali dell’esercito come fecero gli Usa e l’Unione Sovietica durante la guerra fredda in America Latina.

Tutto ciò non deve sorprendere dal momento che l’Africa è un continente dal quale provengono gran parte delle risorse e delle materie prime francesi. Sia sufficiente pensare che nell’aprile del 2011 la Costa d’Avorio – che è il maggiore produttore di cacao e che costituisce uno dei pilastri fondamentali per salvaguardare gli interessi economici francesi – subì un attacco da parte dell’esercito transalpino che portò all’arresto del presidente Laurent Gbagbo considerato illegittimo almeno per gli interessi di Parigi.



Un altro strumento di influenza rilevante sull’Africa è certamente il soft power. Nel 2009 il gruppo Areva ottenne l’appalto al posto di una ditta cinese per lo sfruttamento delle miniere di uranio di Imouraren in Niger grazie alle pressioni di Sarkozy sul presidente nigeriano Mamadou Tandja.

Proprio a proposito del Niger non dobbiamo dimenticare che questa è una nazione fondamentale per l’importazione francese di uranio poiché copre il 30% del fabbisogno civile e oltre il 100% del fabbisogno militare di Parigi e di conseguenza senza lo sfruttamento dell’uranio non ci sarebbe l’ energia nucleare che assicura quasi tre quarti della produzione di energia elettrica in Francia né, tantomeno, ci sarebbe alcuna autosufficienza energetica o deterrenza nucleare a consentirle di salvaguardare la sua sovranità militare rispetto agli Stati Uniti. In altri termini la zona del franco Cfa continua a offrire alle imprese francesi una posizione dominante cioè di monopolio.



La sopravvivenza di molte multinazionali francesi è legata al continente nero. Ad esempio il 25% del fatturato globale del gruppo multinazionale francese Bolloré e l’80% dei suoi profitti globali dipende proprio dalla sua presenza in Africa. Non a caso i membri dei consigli di amministrazione degli investitori africani in Africa provengono dalle principali multinazionali francesi e cioè, per esempio, oltre che dal gruppo Bolloré, dal gruppo Edf, Total, Société Générale etc. Proprio a proposito della Total di estremo interesse è il progetto relativo allo sfruttamento delle risorse petrolifere in Uganda in stretta partnership con una delle più note multinazionali petrolifere cinesi, sinergia questa che ha posto in essere un vero e proprio cartello che ha consentito sia alla Francia che alla Cina di avere l’esclusivo monopolio dello sfruttamento delle risorse petrolifere nel paese.

Vediamo di ricostruire brevemente le principali tappe di questo ambizioso progetto franco-cinese oggetto tra l’altro di durissime contestazioni da parte di numerose Ong internazionali sia sul fronte dell’evasione fiscale che dell’enorme impatto ambientale

Nel 2006 sono state scoperte enormi riserve di petrolio sulle rive ugandesi del Lago Albert, al confine con la Repubblica Democratica del Congo. Costituiscono la quarta più grande riserva dell’Africa subsahariana, stimata in quasi 6,5 miliardi di barili di petrolio greggio, di cui almeno 1,4 miliardi recuperabili.

Total, a partir dal 2012, ha giocato un ruolo determinante. Tramite la controllata Total E&P Uganda (di seguito “Total Uganda”), la multinazionale francese è attualmente alla guida del progetto Tilenga, che mira ad estrarre circa 200mila barili di petrolio al giorno. Al suo fianco la compagnia transnazionale cinese Cnooc, incaricata di sviluppare un secondo progetto petrolifero (il progetto Kingfisher) che mira ad estrarre 40mila barili al giorno.

Nell’ambito del progetto Tilenga, Total prevede di perforare oltre 400 pozzi utilizzando 34 piazzole di perforazione. Dieci di queste piattaforme di perforazione si trovano nella più antica area naturale protetta del paese: il Murchison Falls National Park. Il progetto richiederà anche infrastrutture site tra il Parco Nazionale e il Distretto di Buliisa: un impianto di trattamento del petrolio (“Central Processing Facility”, di seguito “Cpf”) e una rete di condutture di 180 km circa che collega i vari pozzi con il Cpf e un sistema di estrazione dell’acqua (l’acqua verrà estratta dal lago Albert). Il petrolio sarà trasportato dal Cpf a Kabaale, situato nel vicino distretto di Hoima, dove il governo ugandese prevede di costruire una raffineria, il punto di partenza per il mega oleodotto dell’Africa orientale (Eacop). Total è anche lo sviluppatore principale del progetto Eacop, attraverso la sua controllata Total East Africa Midstream Bv (Team). Con un costo stimato di 3,5 miliardi di dollari Usa (3,2 miliardi di euro), l’oleodotto lungo 1.445 km riscaldato a 50 gradi costituirà “l’oleodotto di petrolio greggio riscaldato più lungo del mondo”. Trasporterà il petrolio estratto dalle rive del lago Albert in Uganda al porto di Tanga nell’Oceano Indiano, situato sulla costa nord-orientale della Tanzania, per l’esportazione sul mercato internazionale.

Entrambi questi progetti comportano lo spostamento di un numero enorme di persone. Il solo progetto Tilenga determinerà lo sfollamento di oltre 31mila persone, principalmente comunità del distretto di Buliisa, dove è interessata quasi il 27% della popolazione. L’oleodotto attraverserà 178 villaggi in Uganda e 231 in Tanzania, provocando lo sfollamento di decine di migliaia di persone. I programmi di “acquisizione e reinsediamento di terreni” per le comunità colpite sono eseguiti dai subappaltatori di Total, Atacama Consulting Ltd per Tilenga, Newplan Ltd e Infra Consulting Services (Ics) per la sezione ugandese dell’Eacop e Digby Wells Consortium per la sezione tanzaniana dell’Eacop. Il processo e le condizioni di questi programmi sono dettagliati nei rispettivi progetti “Piani d’azione per il reinsediamento” (Rap), per le diverse infrastrutture e aree interessate dal progetto. Tuttavia questi documenti sono di difficile accesso e, per la maggior parte, i Rap non sono stati affatto resi pubblici. Il governo dell’Uganda ha anche firmato un Land Acquisition and Resettlement Framework (Larf) con le compagnie petrolifere, che specifica le norme e gli standard che si impegnano a rispettare.

Total ha aumentato la propria partecipazione nel 2020, dimostrando quanto siano importanti questi progetti per l’azienda. Alla fine di aprile 2020, dopo una prolungata situazione di stallo con il governo ugandese relativo a questioni fiscali, che ha portato Total a sospendere le sue operazioni, il peso massimo francese ha annunciato di aver acquisito l’intera quota della multinazionale britannica Tullow Oil. Questa mossa ne ha fatto l’azionista di maggioranza con una quota del 66,66% nei progetti Tilenga ed Eacop. Total è anche l’azionista di maggioranza nel progetto Kingfisher oil, sebbene Cnooc gestisca la licenza di produzione, con una quota del 33,33% nei vari progetti.

Total ha accettato di pagare la somma di 575 milioni di dollari per acquisire le azioni della società britannica, significativamente inferiore alla cifra citata nel 2017 quando sono iniziate le trattative. L’accordo iniziale riguardava solo l’acquisizione di alcune delle azioni di proprietà di Tullow in tutti i blocchi esplorativi (21,57% della sua quota del 33,3%) per una somma di 900 milioni di dollari. Questo accordo è stato annullato il 29 agosto 2019 dopo che le due compagnie petrolifere si sono rifiutate di pagare 167 milioni di dollari di plusvalenze di tasse. All’inizio del 2020, la Total e le autorità fiscali dell’Uganda hanno finalmente raggiunto un accordo di massima e il saldo finale ammontava a soli 14,6 milioni di dollari.

Tuttavia un rapporto di Oxfam France denuncia Total e Cnooc e le loro strategie di evasione fiscale in Uganda: “Complessivamente, Oxfam stima che il governo dell’Uganda perderà 287 milioni di dollari nei 25 anni di sfruttamento del progetto – per un’area di esplorazione (o blocco) solo su quattro parti del progetto. Questo importo […] rappresenta una stima molto parziale delle potenziali entrate mancanti dal Dta (Double Tax Agreement) ugandese”.

Questi progetti sono stati portati avanti l’11 settembre 2020, quando il Ceo di Total Patrick Pouyanné è volato in Uganda per firmare l’accordo con il governo ugandese. “Oggi abbiamo raggiunto importanti traguardi che aprono la strada alla decisione finale di investimento nei prossimi mesi”, ha affermato Pierre Jessua, direttore di Total Uganda. Il presidente dell’Uganda ha poi incontrato il presidente della Tanzania il 13 settembre 2020. Secondo il presidente dell’Uganda, “In linea di principio, abbiamo convenuto che i nostri governi accelerassero l’armonizzazione delle questioni in sospeso nello spirito della Comunità dell’Africa orientale (Eac), i restanti accordi saranno accelerati, incluso l’Hga della Tanzania e realizzeremo rapidamente l’implementazione del progetto Eacop”. Si prevede quindi che Total e il governo della Tanzania firmeranno presto l’Hga.