L’escalation delle campagne di disinformazione negli ultimi anni, particolarmente evidente dal 2020 con l’avvento della pandemia di Covid-19, ha segnato profondamente i recenti conflitti globali, come l’invasione russa dell’Ucraina e il conflitto tra Israele e Hamas. Questo fenomeno di disinformazione è caratterizzato da una complessa mescolanza di attori, che spaziano da operazioni statali a singoli diffusori di false informazioni, rendendo arduo identificarne le fonti. Le strategie adottate variano ampiamente, dall’utilizzo di siti web di bassa qualità, noti per essere ripetuti trasgressori nella diffusione di notizie false, fino all’impiego di piattaforme social, dove un mix di utenti genuini e Bot (software che svolgono azioni automatizzate, ndr) inautentici contribuisce a dare vita e spargere le narrazioni false.
Focalizzandosi sul contesto russo, si osserva come i media statali e gli account pro-Cremlino utilizzino una varietà di tattiche per mettere in cattiva luce il presidente ucraino e indebolire il sostegno occidentale all’Ucraina. Questo avviene anche attraverso la promozione di storie che potrebbero apparire irrilevanti per gli interessi geopolitici di Mosca, ma che in realtà mirano ad alimentare divisioni all’interno delle democrazie occidentali. Ad esempio, la narrazione falsa e diffusa riguardante l’acquisto da parte di Volodymyr Zelensky di una villa in Germania precedentemente posseduta da Joseph Goebbels serve proprio a questo scopo, nonostante sia stata completamente smentita.
Nel contesto del Medio Oriente, la situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di interessi geostrategici contrastanti, con campagne di disinformazione che spesso vedono l’uso strumentale di false narrazioni da parte di media statali, come quelli iraniani, per perseguire obiettivi specifici. Questi conflitti sono stati anche caratterizzati dall’uso di tecniche come la messa in scena di falsi episodi di violenza o la creazione di rapporti di media ingannevoli per dare credibilità alle false narrazioni.
Un cambio di paradigma nella disinformazione si osserva con l’emergere dell’intelligenza artificiale, in particolare con la creazione di siti di notizie generati da IA. Questi nuovi attori digitali sono capaci di produrre un volume massiccio di contenuti senza o con minima supervisione umana, rappresentando così una fonte potenzialmente illimitata di disinformazione. Ad esempio, il caso del sito Global Village Voice illustra come una narrazione completamente inventata possa essere diffusa e guadagnare visibilità anche su piattaforme di Stato, come la televisione iraniana, grazie alla presentazione ingannevole come fonte affidabile.
La risposta da parte delle entità governative e delle aziende interessate si è intensificata, con l’implementazione di squadre specializzate nella rilevazione di campagne di disinformazione esterna, come dimostra l’azione di Viginum in Francia. Questi sforzi mirano a identificare e neutralizzare le operazioni di disinformazione, sebbene le sfide rimangano significative, soprattutto a causa dell’effetto di verità illusoria e della difficoltà di contrattaccare narrazioni false già ampiamente diffuse.
L’intelligenza artificiale si configura sia come una minaccia che come uno strumento di lotta contro la disinformazione. Da una parte, la diffusione di contenuti generati da IA ha reso la disinformazione più pervasiva e sofisticata, come nel caso delle deepfakes sempre più realistiche. Dall’altra, l’IA offre opportunità inedite per combattere la disinformazione, ad esempio attraverso l’analisi e il riconoscimento delle false narrazioni su vasta scala. La sfida futura sarà quindi quella di bilanciare l’uso dell’IA, sfruttandone le potenzialità per affrontare efficacemente la disinformazione, senza però amplificarne i rischi.
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