Sulla scia di una lotta senza quartiere alla corruzione, Xi Jinping non esita a imporre la volontà del Partito a tutti gli attori della società e Xiaomi non fa eccezione. Infatti le aziende digitali, come appunto Xiaomi, e le loro tecnologie sono armi strategiche a pieno titolo in un contesto di guerra economica, diventando “strumenti per la gestione della società”. Vediamo come.



In primo luogo, attraverso la raccolta dei dati, collegata al controllo sociale. Le aziende digitali si rivelano effettivamente un enorme pool di dati, essenziale a Pechino. Come “quadro” per questa raccolta, il Dragone ha posto in essere uno strumento legislativo: la legge nazionale sull’intelligence ratificata dal governo cinese nel 2017.



Questa legge, infatti, rende obbligatoria per le aziende che raccolgono dati la condivisione di questi ultimi a beneficio della sicurezza nazionale. La legislazione afferma che lo Stato protegge gli individui e le organizzazioni che supportano, cooperano e collaborano con il lavoro dell’intelligence nazionale. Più che un incoraggiamento, le aziende digitali, e quindi Xiaomi, si ritrovano assunte dallo Stato per condividere dati.

Questa strategia fa parte della politica di credito sociale avviata dalla Cina che “mira a valutare i cittadini, nonché le persone giuridiche (pubbliche o private)”, consentendo di aumentare il livello di integrità morale dei cittadini al fine di facilitare e razionalizzare le transazioni economiche e finanziarie.



In secondo luogo, l’obiettivo del governo sarebbe quello di utilizzare questo potere digitale come strumento di sviluppo a livello nazionale. Infatti, digitalizzando tutti i settori dell’economia e dei servizi pubblici, lo Stato spera di stimolare lo sviluppo economico nelle zone rurali, ridurre gli oneri amministrativi e rimuovere le opportunità di corruzione e risolvere i colli di bottiglia. Xiaomi si integra come una vera e propria pedina strategica. È infatti uno strumento di influenza e affermazione lungo le Vie della Seta e l’azienda digitale è stata al centro di una delle più grandi ambizioni egemoniche internazionali dall’inizio del secolo.

Il progetto New Silk Roads, o Belt and Road Initiative, è definito come un vero motore per l’internazionalizzazione delle imprese cinesi – combinando crescita economica, esportazione di “sovracapacità” industriale e padronanza della catena di fornitura e dell’informazione. Attraverso uno slancio economico e politico, il governo cinese auspica che lo sviluppo del commercio elettronico, la creazione di reti in fibra ottica o l’adozione di nuovi metodi di pagamento elettronico siano tutti ambiti in cui Pechino spera di esportare il proprio know-how lungo queste nuove strade. Insomma, le Vie della Seta, più che fisiche, diventeranno quindi anche digitali. Vera opportunità per Xiaomi, la nuova Silk Road è un vero trampolino di lancio per l’internazionalizzazione statale.

Xiaomi, per esempio, è parte integrante del commercio con Israele: la Cina è la fonte di un terzo degli investimenti hi-tech nel paese e Xiaomi ha una solida base economica in Israele.

Allo stesso modo, se l’India si è rifiutata di prendere parte all’iniziativa Belt and Road, la Cina, e in particolare Xiaomi, è riuscita a trovarvi un posto di rilievo: in effetti, il 72% del mercato indipendente è occupato da smartphone cinesi come Oppo e Xiaomi, lasciando poco spazio a giganti come Apple e Samsung.

Nel 2018 è stato lo stesso fondatore Lei Jun, presente alla prima sessione del XIII Congresso nazionale del popolo, a delineare i suoi suggerimenti e le sue ambizioni per promuovere le società private cinesi all’estero come parte dell’iniziativa Belt and Road. Le sue raccomandazioni erano duplici: primo, l’istituzione di un “Centro e piattaforma completi di servizi Bri” guidato dal ministero del Commercio. In secondo luogo, il fondatore di Xiaomi propone di eleggere “ambasciatori del marchio Made in China nei paesi Belt and Road” per “promuovere i prodotti cinesi attraverso scambi culturali e attività di marketing per rafforzare la reputazione e l’influenza del Made in China”.

Non senza ironia, è anche la crisi del Covid-19 che ha svelato un’opportunità tecnologica per le aziende digitali cinesi. Da diversi anni è emerso il concetto di “Strade sanitarie della seta”, parte di una strategia cinese avviata diversi anni fa e volta a sfruttare appieno la diplomazia sanitaria come strumento di influenza. La strategia, le cui linee guida sono tracciate dal piano “Healthy China 2030”, punta a far diventare la Cina un Paese importante in termini di produzione di apparecchiature medico-diagnostiche e cure mediche, e di conquistare una parte consistente del mercato farmaceutico mondiale facilitando la creazione di colossi nazionali di fascia media e alta.

È da gennaio infatti che diversi colossi cinesi, tra cui Xiaomi, hanno contribuito attraverso donazioni finanziarie e forniture mediche a colmare i deficit sanitari per supportare i governi. Non senza interesse, Xiaomi ha avuto come suo scopo quello di aiutare, guarda caso, i mercati in cui l’azienda è in difficoltà. Lo scorso marzo l’azienda ha inviato decine di migliaia di mascherine in Italia, paese in cui è nata due anni fa.

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