Quali conseguenze a livello politico si sono verificate a seguito del terremoto nei paesi colpiti, Siria e Turchia?
In primo luogo il regime siriano ha posto in essere nuovi contingenti armati nelle aree che sono sotto il suo controllo, per esempio Aleppo; e proprio qui il 7 febbraio il regime siriano ha inviato il ministro della Difesa Ali Abbas.
In secondo luogo la regione di Idlib – che rimane sotto il controllo di Hayat Tahir al-Sham, ramo siriano del gruppo terroristico di al Qaeda – è stata isolata a causa del terremoto.
In terzo luogo sia la Turchia che la Siria tengono ancora chiuso l’unico valico di frontiera di Bab al-Hawa, ostacolando gli aiuti umanitari che entrano a Idlib solo con il contagocce.
In quarto luogo le conseguenze devastanti del terremoto hanno sostanzialmente determinato la perdita di controllo proprio di quest’area, che era guidata da Mohammed al-Joulani, leader militare di Hayat Tahir al-Sham.
Ebbene proprio la zona di Idlib – così come quella del nord-est siriano – sono sotto il controllo delle forze qaediste siriane unitamente alla Mezzaluna Rossa curda.
Un altro aspetto da non trascurare è il fatto che questo terremoto ha consentito agli Emirati Arabi Uniti, all’India e al Pakistan di inviare aerei militari in soccorso, aiuto questo che ha consentito di consolidare la loro immagine pubblica. Infine anche l’Iran ha giocato le sue carte, come dimostra il fatto che il capo della unità speciale dei Pasdaran, e cioè la Forza al Quds Ismail Qaani, si è recato ad Aleppo.
Ma la questione del terremoto ha contribuito ad incrinare l’immagine pubblica del presidente turco Erdogan. Hakan Fidan, il direttore del servizio di intelligence turco, ha avuto un ruolo molto importante nel coordinare i soccorsi. Non solo: ha fatto di tutto per salvaguardare l’immagine politica del leader turco, dal momento che l’alto numero dei morti ha suscitato nella Repubblica turca diffuse critiche nei confronti del governo. Questa vicinanza tra il direttore del servizio di sicurezza turco e il presidente turco è una delle ragioni – ma certamente non la sola – dei frequenti attriti fra Hakan Fidan e il ministro della Difesa Hulusi Akar. Un’altra ragione è determinata dal fatto che il presidente turco ha delegato proprio al direttore dei servizi di sicurezza il delicatissimo compito di intavolare una discussione franca con il direttore della Cia e con il responsabile dell’intelligence Saudita, il generale Khalid bin Ali Al Humaidan. Un’altra ragione di attrito tra il ministro della Difesa turco e il direttore del Mit è il ruolo che Fidan sta giocando con
il Partito popolare democratico pro-curdo, che è ufficialmente in trattative con Cemil Bayik, il capo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, o Pkk. Lo scopo di questo dialogo è quello di concordare il cessate il fuoco per rendere più facile il soccorso e la ricostruzione.
Insomma, il ruolo del direttore dell’intelligence è di grande importanza considerando che il presidente turco è stato accusato di aver gestito male l’operazione di salvataggio (non dimentichiamoci che a breve ci saranno le elezioni generali e presidenziali). Proprio allo scopo di salvaguardare la reputazione del presidente turco, il direttore dell’intelligence turca ha mobilitato il Diyanet, la direzione degli affari religiosi della Turchia, per diffondere messaggi volti a calmare la rabbia pubblica e mobilitare i suoi attivisti nelle aree colpite dal terremoto.
Il capo del Mit ha anche lavorato con il direttore della comunicazione del presidente, Farhettin Altun, per rafforzare il controllo sui media turchi. Tre canali televisivi considerati troppo critici nei confronti della gestione del disastro da parte del governo sono stati sospesi il 22 febbraio.
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