Circa trent’anni or sono Sergio Romano scrisse un libro non solo non banale, ma attualissimo e da rileggere, Finis Italiae, in cui spiegava lucidamente come e perché gli italiani (o meglio la loro classe dominante) fossero giunti a far declinare sino a far morire l’ideologia risorgimentale. La stessa cosa sta accadendo oggi con il far declinare e il far morire l’ideologia democratico-parlamentare. Essa, per trovare una sua legittimazione, non può evocare e rispettare soltanto il principio maggioritario, ma ad esso deve aggiungere quello della ricerca della verità e l’utilizzazione a fini decisionali della competenza e della testimonianza personale delle virtù morali, pena il decadere a potere situazionale di fatto e a perdere via via quella legittimazione.
Oggi sta accadendo altresì quello che in una situazione economico-sociale e politica ben diversa Ernesto de Martino studiò e descrisse nel secondo dopoguerra, quando il terrore della fame e della disperazione inverò nuovamente pratiche antichissime di terrore apocalittico a cui si faceva ricorso per controllare l’angoscia. Oggi, con i governi Conte-1 e Conte-2, l’angoscia della pandemia e del terrore della morte si scatena e provoca il rifugio in una nuova forma di pensiero magico-apocalittico. Questa volta artificialmente creato dal controllo neo-ierocratico delle emozioni attraverso pratiche comunicativo-liturgiche che si interconnettono con la lenta disgregazione delle pratiche parlamentari, che sono poste ogni giorno in discussione, con un declinare impressionante che rafforza tutte le forme di potere personale, potere che si diffonde sempre più, sostituendo la stessa democrazia parlamentare e le regole costituzionali.
Anche nelle relazioni internazionali si ha sentore di ciò. Nei giorni scorsi, per esempio, la Cancelliera Merkel – attuale presidente di turno dell’Ue – ha riunito attorno a sé la presidente della Commissione europea, sua delfina, e il presidente del Consiglio europeo per trattare on line, vista la pandemia, con il presidente cinese Xi Jin Ping la definizione, dopo anni di trattative, del Trattato tra Ue e Cina sul regime di reciprocità degli investimenti tra i due blocchi economici. A quella riunione partecipava anche il presidente francese e non il rappresentante dell’Italia, che pure è una nazione fondatrice dell’Europa ed è anche la nazione definita da tutte le gazzette quella più favorita da quelle misure europee tanto attese che devono seguire alla mutualizzazione del debito europeo.
Naturalmente, chi crede che questa misura sia il frutto della capacità di negoziazione del nostro Governo deve ricredersi dopo la vicenda dell’accordo Ue-Cina e dopo la decisione tedesca di acquistare decine di milioni di vaccini anti-Covid al di fuori del piano europeo, incuranti del discredito che una simile decisione può provocare sulla retorica dell’unità morale, prima che politica, dell’Ue. Il fondamento storico-concreto dell’Ue emerge così in tutta evidenza: retta da Trattati tra Stati e non da una Costituzione e quindi da uno stato di fatto anziché di diritto; non é neppure una entente cordiale, ma solo un insieme instabile di rapporti di forza.
L’Italia è un punto cruciale delle catene produttive industriali tedesche e – in misura minore – di quelle francesi, come la Spagna (anche se in misura più modesta). La difesa degli interessi prevalenti è assente in Italia: si fanno sentire solo i rapporti di forza e di dipendenza, che hanno naturalmente anche conseguenze economiche positive a breve termine, ma che via via impediscono al complesso italiano degli interessi economici e culturali di rendersi manifesti nel lungo periodo. Ecco ciò che emerge dall’accordo tra la Cina e la Ue: una Ue a direzione tedesca e a trazione franco-tedesca, dunque. Ciò è dimostrato con eloquenza dalle vicende libiche, dove di fatto l’Italia si trova sul limite dell’espulsione politico-diplomatica, prima che economica, come del resto sta accadendo anche dall’Egitto: un processo voluto con determinazione sia dalle cancellerie francesi, sia da quelle inglesi.
Il fatto che contemporaneamente il Regno Unito abbia sottoscritto un interessante accordo commerciale con la Turchia, mentre quest’ultima si accinge a ricreare una condizione di dominio neo-ottomano nel Mediterraneo, non fa che rischiarare il senso della composizione del potere europeo che si sta delineando, tanto più ora che la Brexit è giunta al termine con il Regno Unito che – anche con questo accordo – si allea diplomaticamente con la Germania (che non a caso è profondamente filo-ottomana) in funzione anti-francese, dopo l’ostilità sorda e senza sbocco che la Francia ha reso manifesta durante le ultime fasi della trattativa pre-Brexit.
Il Brexit italiano, non dall’Ue, ma dal suo nucleo dominante, non è voluto dagli italiani, ma dalle potenze europee dominanti. La sola sponda diplomatica che poteva arginare la caduta di rango dell’Italia – e che si è verificata così rapidamente grazie ai governi Conte-1 e Conte-2 – era (e forse ancora è, chissà?) quella degli Usa. Essa certamente si è posta in moto, ma con la lentezza inevitabile del corso degli eventi e delle regole della successione che per fortuna ancora sussistono. Ma in questo caso non si fa che accentuare il fatto che l’iniziativa Usa non potrà affatto far cadere un Governo come l’attuale, forse il peggiore che in Italia abbiamo avuto dopo quelli dell’Ulivo. La pressione Usa – che certo si esercita – non potrà che favorire componenti di questo Governo per accrescerne il potere spartitorio.
Renzi e Veltroni, per esempio, sono gli anelli della catena che collega il potere visibile e invisibile italiano con il potere visibile e invisibile nordamericano che si appresta a governare il mondo. Così come gli Usa potranno esercitarlo, quel governo: ossia con un sistema vassallatico sempre più disgregato e disgregante: sia per la frantumazione dell’Europa, sia per la logica di potere a breve raggio provocata dalla leadership tedesca attuale, filo-cinese, sia per la stessa disgregazione italiana che si fonda (dopo la scomparsa delle grandi imprese e delle imprese pubbliche delle Partecipazioni statali) sulla scomparsa dei partiti e sull’avvento prima dei caciqui imprenditori politici e, ora, delle compagnie di ventura al potere in Italia.
Esse dipendono, come se si riproducessero di nuovo le “guerre italiche” dal 1494 al 1530, da diverse potenze straniere. La guerra per la conquista di ciò che rimane del potenziale economico e politico culturale italico è da tempo iniziata. L’ho descritta a lungo: non è una novità. Ma ora essa si farà più intesa e sarà terribile, combinandosi con la crisi della “economia pandemica”. Le Grandi Guerre d’Italia certo si combatterono sulle terre italiche, ma il loro obiettivo finale era la supremazia europea, che passava anche attraverso il dominio dell’Italia. Esse furono scatenate dalla monarchia francese rivendicando diritti ereditari sia sul Regno di Napoli, sia sul Ducato di Milano e coinvolsero via via non solo la maggioranza degli antichi Stati italiani, ma, oltre la Francia e il Sacro Romano Impero, anche la Spagna, I’Inghilterra e naturalmente l’Impero Ottomano. La guerra con le armi tace. Quella economica non termina mai.
La storia ritorna e sarà terribile.