La conferma del binomio Mattarella-Draghi nei ruoli istituzionali precedenti si è rivelata un argine per le conseguenze che potevano derivare dalla dissoluzione della maggioranza parlamentare che sostiene il governo in carica in occasione dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Un passaggio valutato in modo positivo anche negli ambienti internazionali e dai mercati finanziari.
Ma lo scollamento tra le iniziative dei partiti e l’attività del Governo, rappresentato dal fallimentare tentativo di consolidare il ruolo delle coalizioni politiche nel corso delle trattative per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, rimane uno dei problemi principali per la governabilità dei percorsi che sono stati avviati con il Pnrr. Tema che non può essere liquidato contrapponendo una presunta saggezza dei parlamentari peones alla incapacità dei leader dei partiti.
Come abbiamo sottolineato in alcuni articoli precedenti, il Governo Draghi ha ampiamente corrisposto ai mandati che gli erano stati affidati: rafforzare l’efficacia degli interventi per il contrasto della pandemia, portare a regime il nuovo Pnrr e gli accordi con le istituzioni della Ue, accelerare i tempi della ripresa economica. Il presidente del Consiglio, nella conferenza di fine anno, ha giustamente rivendicato i risultati ottenuti, ma compiendo l’errore di rassicurare gli italiani riguardo la solidità del percorso avviato e della governance messa in campo per attuare il programma delle riforme. Un errore gravissimo, motivato dall’ansia di comunicare la propria disponibilità per una eventuale candidatura per il Quirinale e di rassicurare i partiti e l’opinione pubblica riguardo la solidità dell’azione del governo, a prescindere dalla sua permanenza alla guida dell’Esecutivo.
Eppure erano già in campo tutti i fattori che facevano presagire un 2022 assai più complicato dell’anno appena concluso per il perdurare della pandemia; la ripresa dell’inflazione; l’esposizione del nostro paese alle conseguenze delle tensioni geopolitiche internazionali; le palesi difficoltà nel costruire un apparato amministrativo in grado progettare e gestire un volume di risorse, del Pnrr e dei fondi nazionali aggiuntivi, di 8 volte superiore alla spesa annuale storica per gli investimenti della pubblica amministrazione. Criticità, anche se prese singolarmente, in grado di riversare palate di sabbia negli ingranaggi della ripresa dell’economia.
La continuità dell’azione del Governo e la riconferma del presidente della Repubblica offrono alcune certezze, ma non assicurano di per sé la governabilità dei processi, che dipendono dalla capacità di coinvolgere le istituzioni regionali e locali, le tecnocrazie, gli attori economici privati e le rappresentanze sociali, da cui dipende la concreta attuazione degli obiettivi.
Sul versante esterno non deve essere trascurata l’esigenza di riformare le regole del Patto di stabilità europeo, temporalmente sospese fino al 31 dicembre 2022, per assicurare condizioni favorevoli all’utilizzo e alla restituzione delle risorse, tutt’altro che scontate per l’avvenire. Condizioni che dipendono dalla comprovata ottemperanza degli impegni assunti e dalla solidità delle alleanze che devono essere costruite con gli altri paesi aderenti alla Ue.
È in questo contesto che deve essere aperta una seria discussione sulla congruità delle rappresentanze politiche. Nel giro di qualche giorno le pretese di rivitalizzare le presunte coalizioni di centrosinistra e di centrodestra in vista delle elezioni del 2023 e di marcare il ritorno dei partiti nell’ambito delle decisioni istituzionali hanno subìto una batosta che non ha precedenti. Ad andare a gambe all’aria è la strategia del “campo largo” del Partito democratico, tesa a consolidare un’alleanza di centrosinistra con un M5s in preda alle convulsioni interne di un gruppo parlamentare destinato ad essere letteralmente falcidiato nella prossima tornata elettorale, e quella di un centrodestra diviso tra ruoli di maggioranza e di opposizione e frantumato su quello delle alleanze internazionali.
Emerge con tutta evidenza la mancata metabolizzazione dei fallimenti di un’intera stagione politica. Di un modo di costruire il consenso e di gestire la rappresentanza nelle istituzioni che ha comportato la dispersione di una ingentissima mole di risorse pubbliche e accompagnato il declino economico e sociale del nostro paese. Un modo di fare politica basato su una falsa rappresentazione della comunità nazionale, descritta come un assemblaggio di ceti incapaci di sbarcare il lunario e bisognosi di sostegni pubblici di ogni sorta. E che rimane in queste condizioni per le responsabilità delle rappresentanze politiche corrotte e dei complotti che vengono istruiti ai nostri danni nelle sedi internazionali.
L’inconsistenza di questo modo di fare politica è ben rappresentata dalle caratteristiche della attuale legislatura, dominata dai parlamentari eletti nei partiti sovranisti e populisti, che per la propria sopravvivenza affidano le sorti del nostro Paese all’ex presidente della Bce per gestire le risorse europee, con l’assunzione di obbligazioni esterne che non hanno precedenti nella storia italiana.
Attenzione a considerare esaurita questa fase. L’approvazione della Legge di bilancio 2022 è avvenuta con il governo assediato dalle richieste di prorogare super bonus, bonus e sostegni al reddito che, come dimostrato dalle indagini della Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza, sono diventati una specie di incentivo a delinquere che coinvolge milioni di persone. In alcuni casi con il concorso di vere e proprie organizzazioni criminali, attraverso la sovrastima delle fatturazioni, o con la sottostima delle dichiarazioni dei redditi, a seconda dei bisogni, truffano l’amministrazione pubblica per importi a volte superiori alle centinaia di milioni di euro. Nel corso degli ultimi 10 anni sono stati spesi oltre 300 miliardi aggiuntivi per gli interventi di natura assistenziale e, nello stesso periodo, è raddoppiato il numero delle persone povere.
Per questi motivi la prospettiva dei governi di coesione nazionale, con ogni probabilità guidati dall’attuale presidente del Consiglio, è destinata ad andare oltre questa legislatura. Ma tutto questo diventa possibile se un nucleo consistente di forze politiche rinuncia a candidare un potenziale concorrente alla carica di premier nell’ambito della competizione elettorale, assumendo in via di fatto l’agenda Draghi come punto di approdo delle proposte elettorali. Cosa decisamente impossibile se in prima istanza non si cambia la legge elettorale vigente, sostituendola con una di tipo proporzionale, che rafforzi il ruolo del presidente della Repubblica per la designazione del primo ministro e quello delle rappresentanze politiche elette per l’adesione al successivo programma di governo e la formazione della compagine governativa.
Le recenti prese di posizione del Pd e l’oggettivo sfaldamento del fronte di centrodestra fanno intravedere questa possibilità. Questi orientamenti coincidono con una nuova attenzione rivolta al cosiddetto elettorato moderato e alle forze politiche aliene ad assecondare la radicalizzazione delle rivendicazioni. Quelle che hanno pagato maggiormente le mancate promesse della stagione della Seconda Repubblica. Ma la rinascita di una o più rappresentanze del centro politico non può essere motivata solo dall’esigenza di rafforzare la componente delle persone dotate di capacità politica e di buon senso. Dovrebbe scaturire dall’esigenza di offrire una rappresentanza alle energie vitali della società, le persone che risparmiano, investono, lavorano e che si prendono cura dei figli e degli anziani, mettendo un limite alla deriva statalista e assistenzialista destinata altrimenti ad aumentare per le conseguenze del declino demografico.
Questo dipenderà anche dalla capacità del governo in carica, e in particolare di Mario Draghi, di tradurre in pratica il proposito di orientare le risorse disponibili privilegiando i debiti buoni, e finalizzati a generare nuovo reddito, rispetto a quelli cattivi degli impieghi improduttivi.
Un proposito che mantiene tutta la sua validità, ma che, allo stato attuale, non viene riscontrato nei fatti.
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