Il 2021 si sta chiudendo con una forte incertezza sul fronte della pandemia. Il che getta anche delle ombre sulle chance di ripresa dell’economia globale, già alle prese con altre incognite quali l’inflazione e i rincari delle materie prime, che stanno pesando particolarmente su alcuni settori della manifattura italiana tramite gli aumenti dei costi energetici.
Quale sarà l’incertezza più importante nel 2022? «È molto difficile rispondere – ci dice Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino -, perché le incognite a livello globale si collegano e si incrociano tra loro e quindi ci si trova di fronte un sistema complesso da valutare».
Quali sono queste incognite collegate tra loro?
Principalmente tre. La prima è di tipo politico-sociale. La situazione dovuta al Covid non sta aiutando la stabilità dei Governi, dagli Stati Uniti, al Regno Unito, alla Francia e persino alla Cina. Non bisogna, infatti, sottovalutare le conseguenze che problemi sociali possono avere per Pechino. La seconda incognita è più prettamente economica e legata all’incertezza su quello che ci sarà dopo il rimbalzo del Pil che si è registrato ovunque nel mondo. Nessuno ha imboccato con chiarezza una strada di crescita, gli Usa forse un po’ più degli altri.
Questo riguarda anche l’Italia?
Certamente. Il Pnrr va benissimo, ma lo considererei parte del rimbalzo: cosa si voglia fare dopo e con quali risorse ancora non si sa. Non dobbiamo poi dimenticare i problemi sulle catene del valore che ancora non sono stati risolti: ci stiamo accorgendo con il caso dei microchip quanto è difficile e quanto tempo richiede creare una nuova catena di fornitura con impianti più vicini. La terza incognita riguarda la sostenibilità, il clima. Mettendo insieme tutti questi elementi, il quadro complessivo è davvero difficile da decifrare: non si possono dare messaggi né rassicuranti, né allarmanti.
Pensa che tra queste tre incognite ce ne sia una foriera di maggiori rischi?
È difficile valutare il peso di ciascuna di esse perché, essendo collegate tra loro, se una dovesse aggravarsi lo farebbero anche le altre due. È un sistema dinamico che si modifica in continuazione con il passare del tempo.
Vedremo inasprirsi il confronto tra i due colossi globali, Stati Uniti e Cina?
Al di là delle parole di Washington e Pechino, è difficile che ciò possa avvenire, perché i rapporti economici tra le due superpotenze sono ancora molto stretti e uno scontro più aspro non conviene a nessuno. Nel caso temo che la prospettiva più probabile sia quella di un allentamento dei legami che porterà a non poter parlare più di un’unica economia globale, ma di due o tre macro-aree globali con scambi tra loro rallentati. Credo che sia scarsamente probabile, anche se non si può escludere, che, un po’ come accaduto più di un secolo fa a Sarajevo, un evento inaspettato possa scatenare un conflitto vero e proprio. Ci sono molti “sistemi di controllo” per evitare un evento del genere, ma sono meno efficaci di dieci anni fa.
Intanto il sistema produttivo italiano deve far i conti con il problema dei rincari energetici. Crede debba essere affrontato in modo diverso dai provvedimenti contro il caro bollette finora attuati?
Temo di sì, anche se l’Italia è forse messa meno peggio di altri Paesi, perché dipende meno dal gas russo avendo forniture che arrivano dal Mediterraneo, i cui prezzi sono meno influenzati da quelli che leggiamo sugli organi di informazione in queste settimane.
Diventa però forse più evidente una sorta di scontro tra le esigenze produttive e le politiche green, visto che la soluzione più immediata per l’Italia sarebbe estrarre più gas dall’Adriatico…
Assolutamente sì. Su questo fronte c’è un problema serio: paradossalmente per avere energia verde in un primo momento occorre aumentare la produzione di quella “sporca”. Per costruire gli impianti e le infrastrutture necessarie a portare a termine la transizione verde serve una quantità di energia che nessuno ha mai calcolato. Questa può arrivare o dall’aumento della produzione di energia “sporca” oppure dalla riduzione degli altri usi che se ne fanno in modo che una parte sia dedicata alla transizione green. È chiaro, però, che seguendo questa seconda strada si devono sacrificare consumi e produzione.
In ambito europeo, il 2022 sarà l’anno in cui si deciderà il futuro del Patto di stabilità. La posizione di Italia e Francia è stata chiarita da Draghi e Macron sul Financial Times. E quella tedesca?
La Germania è una grande incognita, perché le tre anime del Governo non si sono ancora ben amalgamate, né chiarite tra di loro, né presentate al mondo. Scholz è stato sì il ministro delle Finanze e il vice cancelliere nel precedente esecutivo, ma non ha mai dato l’impressione di avere idee precise e nette, che sicuramente non ha la ministra degli Esteri Baerbock, leader dei Verdi. I liberali della Fdp, invece, hanno tesi molto precise, ma sono parecchio antiquate e non sembrano attuabili nonostante il loro leader Lidner sia ministro delle Finanze.
(Lorenzo Torrisi)
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