In termini calcistici – si potrebbe dire – la Legge di bilancio per il 2023 appena iniziato si è chiusa in “zona Cesarini” è già si sta cominciando a pensare a una “finanziaria bis” da varare in marzo-aprile. Il parametro di base sono l’andamento dell’inflazione e quello dell’economia reale. Il nodo politico è quello delle pensioni in essere.



L’inflazione comporta una riduzione del potere d’acquisto di coloro a redditi fisso (di cui i pensionati sono una delle principali categorie). Coloro che fruiscono di pensioni considerate medio-alte temono che ancora una volta saranno loro a dovere pagare uno scotto significativo. Non solo le principali associazioni pensionistiche stanno preparando ricorsi contro la rimodulazione degli adeguamenti appena varati, ma dopo aver appoggiato per circa dieci anni le parti politiche che non hanno introdotto vari “contributi di solidarietà” potrebbero fare mancare il loro supporto sin dalle imminenti elezioni regionali in Lazio e Lombardia.



Andiamo con ordine. L’alta inflazione ha perseguitato molte delle economie mondiali negli ultimi due anni. L’impennata è stata guidata da una politica fiscale più accomodante per combattere le chiusure pandemiche seguite dall’invasione russa dell’Ucraina, che ha fatto schizzare alle stelle i prezzi del cibo e dell’energia. Nell’area dell’euro il tasso di crescita dei prezzi al consumo ha raggiunto la cifra record del 10,7% nel 2022; in America ha raggiunto il picco del 9%. Le banche centrali sono state criticate da alcuni per non aver alzato i tassi di interesse abbastanza presto da soffocare l’inflazione. Indipendentemente da ciò, il 2022 è stato l’anno in cui tali aumenti sono arrivati regolarmente e ripidamente. Di conseguenza, la maggior parte dei Paesi riporterà l’inflazione sotto controllo nel 2023, ma non senza gravi sofferenze.



La Federal Reserve americana prevede un aumento della disoccupazione nel 2023; la Banca d’Inghilterra prevede un calo del Pil britannico. In effetti, l’ultima volta che il mondo ha visto una tale confluenza di politiche limitanti la crescita, nel 1982, c’è stata una recessione globale. Ci sono buone ragioni per preoccuparsi che il 2023 non sarà diverso. In questo quadro di inflazione con recessione o, se si vuole, di recessione con inflazione, ci saranno indubbiamente pressioni per una “finanziaria bis” con nuovi aiuti a imprese e famiglie in difficoltà.

Come trovare le risorse in una fase in cui la Banca centrale europea sta stringendo i freni monetari, è in corso di negoziato una revisione del Patto di stabilità e crescita, il Governo si è impegnato a non aumentare la pressione fiscale (giunta al 49%, il livello più alto in Europa), anche in caso di ratifica dell’aggiornamento del pertinente accordo intergovernativo, Esecutivo e Parlamento hanno già deciso di non fare ricorso ai finanziamenti del Meccanismo europeo di stabilità? Coloro che in base alla normativa vigente e sentenze della Corte Costituzionale fruiscono di pensioni considerate medio-alte temono di essere ancora volta la pecora da tosare. Questa volta da parte di uno schieramento politico che hanno appoggiato il 25 settembre 2022.

Brucia ancora il meccanismo di rivalutazione individuato per tenere conto della inflazione nel 2022. Un documento redatto da CONFEDIR-FEDERSPeV sottolinea che “anche il Governo Letta nel 2013 si era fermato al 40% dell’incremento spettante per adeguare pensioni all’aumento dei prezzi, oggi siamo al 32% e per un biennio, senza neppure sapere quale sarà la svalutazione, nemmeno previsionale, del 2023 che condizionerà le pensioni 2024”. “Ciò fa pensare che il legislatore odierno pensasse più a ri-tassare le pensioni medio-alte in godimento piuttosto che difenderne il valore. Ai tempi del Governo Letta la svalutazione era modesta e le discriminazioni meno laceranti, oggi galoppa oltre il 10% e sarà alta anche nel 2023 e, temiamo, nel 2024. D’altra parte la categoria cui apparteniamo (mediamente oltre 55.000 € lordi anno di reddito, ossia oltre 8 volte il minimo Inps, gratificata dal 37% o dal 32% della rivalutazione riconosciuta sulla base della svalutazione accertata) rappresenta quasi il 5% di tutti i contribuenti italiani e sostiene già quasi il 40% del gettito Irpef totale del Paese. Cosa altro si vuole da noi? Inoltre questa tassazione impropria, che rappresenta però una vera ‘patrimoniale’ sulle pensioni medio-alte, non possiede neppure i requisiti richiesti al prelievo tributario legittimo (art. 53 della Costituzione), vale a dire la generalità del prelievo e la proporzionalità dello stesso”.

“E che dire – si legge in un altro passo del documento – dell’incongruenza che attribuisce ai pensionati tra 4 e 5 volte il minimo la rivalutazione dell’85% nel biennio e ai pensionati tra 5 e 6 volte il minimo il 53% (32 punti in meno), col risultato che a fine 2024 (perdurando elevata inflazione) i primi si troveranno verosimilmente con una pensione maggiore dei secondi, che nella vita lavorativa hanno avuto retribuzioni, contribuzioni, responsabilità e meriti maggiori! Che ne è del principio, più volte ribadito dalla Corte, secondo cui la pensione non è che retribuzione differita e che la retribuzione esige proporzionalità tra quantità e qualità del lavoro svolto?”

Queste sono senza dubbio considerazioni di una parte che si senta colpita, e tartassata. Ascoltiamo cosa dice il Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, una voce autonoma e indipendente che parla sulla base di numeri e di analisi: “La rivalutazioni delle pensioni prevista nella Legge di bilancio ha un effetto punitivo per i pensionati sopra i 2.500 euro lordi al mese di trattamento finendo per colpire coloro che pagano più imposte e contributi. Per dare un’idea della svalutazione probabile delle pensioni dal 2024 al 2033, sulla base del nuovo meccanismo, ipotizzando un’inflazione del 2% l’anno, le rendite di 2.500 euro al mese lordi, perdono circa 13.000 euro, quelle di 5.253 al mese lordi circa 69.000 euro, che diventano circa 92.000 per quelle di 7.500 euro lordi al mese, e almeno 115.000 per quelle da 10.000 euro in su. Questi pensionati, oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di Irpef che gravano sulle pensioni, perderanno circa 45 miliardi di potere d’acquisto”.

In breve. Per evitare uno scossone politico da parte delle “pantere grigie”, nella finanziaria bis primaverile il Governo dovrebbe non solo non porre altri aggravi sulle pensioni medio-alte ma rimodulare il meccanismo di perequazione all’inflazione appena varato. Come? Separando nettamente – come peraltro richiesto dalla legge vigente – assistenza da previdenza, anticipando l’abolizione del Reddito di cittadinanza, rivendo numerose tax expenditures, e cancellando il sussidio alle squadre di calcio, pure se appena introdotto – ossia mentre la magistratura penale si occupa di altri aspetti facciamo pur fallire la Juventus per i debiti che ha con l’erario.

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