Il Dipartimento del Tesoro del Mef ha diffuso “Le linee guida della gestione del debito pubblico 2023”, ricordando che l’anno prossimo, tra titoli che arriveranno a scadenza e nuovo fabbisogno del settore statale, le esigenze di finanziamento saranno pari a circa 350 miliardi di euro e, “tenendo conto dei prestiti del pacchetto NGEU e dell’attività di gestione delle disponibilità di cassa, con le informazioni attualmente disponibili, si prevedono emissioni lorde complessive di titoli a medio lungo termine in un intervallo tra i 310 ed i 320 miliardi di euro”. Nel 2022, invece, “sono state effettuate emissioni di titoli a medio-lungo termine per quasi 285 miliardi di euro”.



Il nuovo anno non sarà quindi facile per il collocamento dei titoli di stato, tenendo conto che la Bce la scorsa settimana ha annunciato che procederà a nuovi rialzi dei tassi e, contemporaneamente, alla riduzione dei reinvestimenti netti dei titoli di stato che giungeranno a scadenza. Come ci spiega Mario Deaglioprofessore emerito di economia internazionale all’Università di Torino, “restiamo in una situazione in cui dobbiamo trovare qualcuno che ci presti mediamente quasi 1 miliardo al giorno, con la differenza che finora è stata principalmente la Bce ad acquistare i titoli emessi”.



Nel 2023 lo potrà fare meno e il rialzo dei tassi porterà anche a un aumento dei rendimenti da offrire.

Oltre ai tassi in crescita, il problema è che si tratta di trovare più acquirenti sui mercati e quindi occorre che ci sia fiducia sul fatto che il Governo tenga e metta in atto politiche in grado di ridurre, in prospettiva, la necessità di un così forte rifinanziamento del debito, e di non far rallentare l’economia, anche se al momento da questo punto di vista l’Italia sta andando meglio di altri Paesi. È una sfida tutt’altro che facile e che in passato, specificatamente nel 2011, non è stata vinta, tanto che sono state poi necessarie riforme importanti per ristabilire un minimo di fiducia da parte dei mercati.



La “prudenza” che si è vista nella Legge di bilancio dovrà quindi essere un filo rosso per tutto il 2023.

Sì. Intanto c’è da sperare che la manovra venga approvata prima della fine dell’anno per evitare l’esercizio provvisorio. Va anche ricordato che sostanzialmente è stata impostata da Draghi: il grosso delle risorse viene utilizzato, infatti, per prolungare provvedimenti già presi dal precedente Esecutivo.

Il Dipartimento del Tesoro fa anche capire che sarà importante non perdere i finanziamenti legati al Pnrr, altrimenti aumenterebbe l’ammontare delle emissioni.

Per quanto ho detto poc’anzi sulla fiducia dei mercati, mancare i traguardi del Pnrr avrebbe un effetto dirompente, diventerebbe davvero difficile a quel punto trovare acquirenti dei nostri titoli. Probabilmente l’Italia non sarà l’unico Paese con qualche ritardo nell’attuazione dei progetti, per cui qualche aggiustamento concordato con Bruxelles sulle scadenze si potrà fare. Credo che Draghi abbia davvero fatto un regalo importante al Paese a fine settembre facendo tutto il necessario per garantire l’arrivo della tranche da 21 miliardi dei finanziamenti legati al Pnrr poco prima di lasciare palazzo Chigi. Un’altra cosa importante fatta dall’ex premier è aver assicurato l’aumento delle forniture di gas da parte dell’Algeria, cosa che non è stata molto gradita dai francesi: non ce l’hanno certo con l’Italia per la questione dei migranti.

A proposito di gas, come giudica il price cap appena approvato dall’Ue?

Al momento è un limite totalmente teorico perché il prezzo di mercato è molto più basso. Io credo, ma si tratta di supposizioni, che ci sia stato un grosso scontro tra i Paesi europei favorevoli e contrari e che quindi la necessità di un compromesso tra posizioni così lontane abbia portato a un risultato poco efficace.

Cosa pensa invece della Bce: sta seguendo troppo la Fed?

Io sono convinto che questa inflazione sia come un virus nuovo per il quale non abbiamo il vaccino e usiamo medicine vecchie, che qualche effetto ce l’hanno, ma ci mettono più tempo e oltretutto l’effetto non è completo.

In che senso?

Questa inflazione è data dall’indebolimento, dalla rottura delle catene del valore. Non ci sono più merci che attraversano il mondo senza vere dogane o inconvenienti. Basti pensare che tra i prodotti importanti dell’Ucraina c’è il neon, fondamentale per i laser di precisione che servono a creare i microchip, che perlopiù arrivano da Taiwan. La rottura di questa catena ha creato una tensione sui prezzi che non può essere risolta con il rialzo dei tassi: bisogna ricostruire queste catene di fornitura, magari più corte e sicure. E questo richiede tempo. Comunque, nonostante questa difficile situazione, l’Italia è tra i Paesi che in Europa sta crescendo di più. In gran parte si tratta di un rimbalzo, ma bisogna tenerne conto.

È fiducioso sulla tenuta della nostra economia?

A me sembra di vedere che nel Paese si spende ancora. Si è parlato di un calo degli acquisti per Natale, ma personalmente non l’ho notato. Tra l’altro c’è da chiedersi quanto le indagini sugli acquisti tengano conto di quelli che vengono sempre più effettuati su internet. Va anche detto che le difficoltà della Cina stanno aiutando il nostro export, visto che alcuni dei prodotti che da Pechino raggiungevano l’Europa e gli Stati Uniti le nostre imprese sono in grado di realizzarli, seppur con un costo più elevato. Per il momento, quindi, l’economia tiene. Speriamo che riesca a farlo ancora nel 2023, ma è difficile fare previsioni perché gli elementi di incertezza sono davvero tanti.

(Lorenzo Torrisi)

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