Il nuovo anno vedrà sfidarsi ancora Stati Uniti e Cina per il primato, anche economico, globale. Il 20 gennaio si insedierà Trump, pronto ad applicare nuovi dazi anche verso Pechino, che a sua volta, per stimolare il mercato interno, ha già annunciato di voler aumentare il deficit. Abbiamo chiesto un commento a Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino.
Chi andrà meglio nel 2025: Cina o Stati Uniti?
È molto difficile rispondere. La Cina ha molti malanni che noi sottovalutiamo, in particolare una crisi immobiliare non ancora risolta, ma ha anche una forza di base dovuta alla combinazione tra preparazione della forza lavoro, possesso di materie prime cruciali nei nuovi processi produttivi, buone od ottime tecnologie, con cui riesce a compensare in parte le debolezze interne. Pechino è oggi consapevole di non poter contare troppo sulle esportazioni e anche che non le conviene affrontare nessuno a muso duro.
E gli Stati Uniti?
La situazione è simile, nel senso che anche loro hanno delle difficoltà che riescono anche a non rendere molto evidenti grazie alla forza finanziaria di cui godono. E mi sembra che anche Washington non cerchi uno scontro duro con Pechino. Del resto il fatto che Trump abbia fatto invitare Xi Jinping alla cerimonia per il suo insediamento è segnaletico della volontà di trattare.
L’Europa appare più indietro rispetto a questi due giganti globali: come può cercare di risolvere il problema relativo alla situazione di stagnazione economica in cui si trova?
Penso che nel breve periodo bisognerebbe ripetere l’operazione realizzata con il Next Generation Eu, tramite l’emissione di debito comune. Temo, tuttavia, che in questo momento i Governi nazionali non sappiano bene cosa fare e che ce ne siano alcuni che non sono disposti a seguire questa strada.
Quali sarebbero le direttrici degli investimenti da realizzare con le risorse raccolte tramite questo debito comune europeo?
A mio avviso bisognerebbe realizzare investimenti nelle nuove tecnologie, nell’istruzione, nella ricerca, anche per non aggravare una situazione già non ottimale visto che l’Europa, con il passare degli anni, continua a perdere posizioni anche su questo fronte. Chiaramente i risultati non sarebbero immediati, ma se venisse dato un segnale che si intende percorrere questa strada sarebbe un aiuto a smuovere anche gli investimenti privati.
Nel 2025 i Paesi dell’Eurozona dovranno anche far fronte alla cessazione dei riacquisti dei titoli di stato da parte della Bce…
Ritengo che questi riacquisti vadano ripresi al più presto, altrimenti si rischia di dover affrontare un altro problema importante in breve tempo.
A che cosa si riferisce?
Alla situazione francese. Di fatto c’è un Governo che è appena nato, una Legge di bilancio che, stante le esigenze di finanza pubblica, non sarà facile far approvare dall’Assemblea nazionale, come si è già visto a inizio dicembre quando è stato sfiduciato Barnier, e un debito pubblico che comincia a essere meno apprezzato di quello italiano sui mercati.
Dunque è questo il rischio maggiore che dovremo affrontare all’inizio del 2025?
Sicuramente è quello più prevedibile con una certa accuratezza. Ma non sottovaluterei anche il rischio di ritrovarci con un’Europa senza alcuna direzione, che non sa dove andare e come affrontare le sfide che ha di fronte. Sperando che nel frattempo non si presentino altre avversità al momento non prevedibili.
(Lorenzo Torrisi)
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