L’evoluzione antropica è spinta da molteplici fattori tra cui il più importante è la realizzazione di “protesi tecnologiche” che permettono un maggiore dominio del – o adattamento al – contesto, sia esso un’ecologia fisica o umana. Da questo punto di vista l’intelligenza artificiale va considerata come un ulteriore salto di potenza della categoria “protesi tecnologiche” disponibili, come lo fu nel passato l’accensione del fuoco, l’invenzione dell’arco, dell’aratro, della capacità computazionale (“metria”), della scrittura, delle tecniche di costruzione, dell’automobile, delle telecomunicazioni, dell’elettricità, ecc.



Per protesi tecnologica vanno intesi strumenti che estendono e potenziano le facoltà umane oltre i limiti naturali. L’intelligenza artificiale va valutata come un primo passo dove la protesi non è più solo un’estensione delle facoltà, ma prende una propria autonomia. Chi scrive la definì nel libro “Futurizzazione” (Sperling, 2003) come “mente ausiliaria” per superare i limiti di quella naturale. Tali limiti non sono necessariamente di qualità del pensiero, modificabile dall’istruzione, ma riguardano la quantità di operazioni fattibili per unità di tempo e l’archiviazione di dati nella memoria. La tendenza per superarli è già storia pluridecennale, i computer, ma è rilevabile da migliaia di anni: gli archivi, le biblioteche. Ora si apre una nuova stagione che indirizza le protesi tecnologiche verso il “potere cognitivo”.



Come successo con lo sviluppo della genetica e delle bioingegnerie, e delle prime locomotive all’inizio dell’era industriale, la prima reazione collettiva alla novità è di paura, cautela, ecc., in sintesi di prevalenza dell’analisi dei rischi su quella delle opportunità. Tale fenomeno può dirsi tipico per il forte peso che ha l’inerzia conservatrice sulla cultura. Nel passato l’inerzia fu superata dalla configurazione di regimi sociali autoritari dove chi comandava voleva innovazioni per ottenere la superiorità, per lo più militare. La formazione della società di massa organizzata in democrazie, quindi con configurazione più orizzontale e maggiore influenza del consenso diffuso, ha aggiunto alla ricerca di superiorità quello di gradevolezza/utilità dell’innovazione. Una componente della gradevolezza di un’innovazione è il “minimo sforzo”: con un click vedi il mondo e lo percorri per sentieri di utilità.



Ora allo sviluppo dell’IA, per far prevalere il consenso sulla paura, manca l’IA individualizzata, cioè una mente ausiliaria iperpotente capace di far interagire l’individuo con intelligenze artificiali esterne. Per esempio, un operatore industriale umano in una fabbrica manifatturiera robotizzata viene dotato di una mente ausiliaria portatile che comunica con tutto il sistema, permettendo la supervisione via sintesi informativa sullo stato del sistema stesso e suoi eventuali problemi di correzione, variazione e manutenzione: è una nuova professione che non disintermedia l’elemento umano, indispensabile per il pensiero creativo. Così come uno studente, invece di stare in una classe, può accedere alla superficie elettronica del pianeta e visitare con una mente ausiliaria (cibernetica tutoriale) qualsiasi fonte informatica di interesse, autonomo o definito da un protocollo educativo. E l’insegnante può gestire un numero maggiore di discenti avendo uno strumento individualizzato di IA che interagisce con ciascun studente.

Paura? Per superarla un’intelligenza artificiale individualizzata può essere programmata per difendere l’utente da condizionamenti nonché percorrere in sicurezza e comodità le interazioni con una pluralità di robot. Quindi, un po’ di paura iniziale per l’IA va bene perché spinge il mercato a produrre seconde menti ausiliarie individualizzabili, la domanda già predisposta dall’uso massivo dei telefonini.

www.carlopelanda.com

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