Per Giorgia Meloni il momento non è dei più esaltanti, ma l’imperativo categorico è non fermarsi, non impantanarsi. Il problema è avere le idee chiare sulla direzione verso cui muovere, cosa su cui sembra lecito avanzare qualche dubbio. Prendiamo ad esempio due dei fronti più delicati, quello dei dossieraggi e il progetto Albania per frenare l’immigrazione clandestina.



Sul primo non senza ragioni governo e maggioranza hanno gridato alla democrazia a rischio, ma sinora non hanno operato nulla di concreto e un decreto-legge che sembrava in rampa di lancio è rientrato negli hangar per un sostanziale messa a punto. Segno senza dubbio della complessità del problema, ma indice anche di una innegabile difficoltà a decidere se rafforzare la Direzione nazionale antimafia (Dna), o l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn). Sono approcci strutturalmente differenti, e una scelta si impone. E quando la premier adombra l’azione di funzionari infedeli viene da chiedere perché non siano ancora stati rimossi, dopo due anni di permanenza a Palazzo Chigi, dove il coordinamento dei servizi segreti è stato delegato a un fedelissimo come Alfredo Mantovano. Non è possibile dare la colpa a “quelli di prima”.



Per quanto riguarda il centro per migranti in Albania sarebbe interessante sapere se la falsa partenza fosse stata messa nel conto. La questione, infatti, non è quella dei costi, tipico argomento da opposizione. È sostanziale: il meccanismo alla base dell’accordo con Tirana è in grado di armonizzarsi con la legislazione europea e quella italiana? I magistrati di Bologna che hanno posto la questione alla Corte di Giustizia UE hanno posto il quesito chiave. A Meloni non è rimasto che rilanciare, andare avanti con la missione, e spedire la nave Libra della nostra Marina militare di nuovo nel Mediterraneo, pronta a fare rotta verso le coste albanesi con nuovi migranti raccolti in mare. Di fatto il governo va avanti, come se nulla fosse successo, ben conscio di avere gli occhi di mezza Europa addosso: dalla definizione dei “Paesi sicuri” e di chi sia qualificato a definirli come tali passa in questo momento l’intera politica di contrasto all’immigrazione clandestina non solo del nostro Paese, ma dell’intera Unione Europea. Qualora la legge italiana venisse censurata, ci sarebbe un vasto ricasco.



Dall’Europa vengono per Meloni altri grattacapi, il ritorno al rigore di bilancio che si traduce in un’autentica camicia di forza per la finanza pubblica italiana, alle prese con una difficilissima legge di bilancio che si potrebbe sintetizzare nel più classico dei “bambole, non c’è una lira”. Adesso la valuta è l’euro, ma la sostanza è la stessa.

Messa così è la fotografia di una premier e di un governo che, dopo due anni di navigazione, potrebbero essere bersaglio facile per l’opposizione. Per buona sorte di Giorgia Meloni lo stato di salute dei partiti contrari al governo è decisamente cagionevole. Lo ha dimostrato plasticamente il voto in Liguria: il campo largo ha fallito quello che sembrava un rigore a porta vuota, riconquistare una Regione storicamente di sinistra, dove la giunta di centrodestra era stata disarcionata da un’indagine della magistratura. Ora ci sono altri due voti alle porte. E se in Emilia-Romagna la conferma del centrosinistra non è in dubbio, la battaglia per la riconquista dell’Umbria vede un esito tutt’altro che scontato.

Per l’opposizione il problema è politico: la sommatoria di tutti i partiti contrari a Meloni è un sudoku ai limiti dell’impossibile. Conte con Renzi non si può. I 5 Stelle in crisi, poi, non possono che chiamarsi fuori in questa fase, visto che a meno di imprevisti le prossime elezioni politiche si avranno solo nell’autunno 2027. Niente alleanza organica.

Un Pd numericamente forte, ma incapace di coagulare insomma, con enormi grattacapi interni, visto che Schlein ha annunciato ufficialmente che non sosterrà il terzo mandato di De Luca in Campania (frutto di una leggina regionale ad hoc). E questo significa mettere in conto di perdere la Regione pur di eliminare il cacicco più cacicco di tutti.

Per Meloni, insomma, nessun problema in vista dall’opposizione. Ma l’urgenza di rilanciare la sua maggioranza, quella sì. E di chiarirsi le idee sulla direzione da prendere.

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