L’unica cosa quasi certa, dopo il voto di domenica in Argentina, è che dal prossimo 19 novembre – data del ballottaggio – il Paese avrà un presidente italiano. Italiano non “di discendenza”, ma di fatto, avendo in tasca Sergio Massa (attualmente il grande favorito) il nostro passaporto e relativa cittadinanza. Un Paese in cui il cambio del dollaro varia da 368 a 1.100 pesos a seconda che si consideri quello ufficiale o quello “nero” (peraltro pubblicato sui giornali) e un cambio ufficiale con l’euro crollato del 50% in quattro mesi sottolinea una innegabile verità: ancora una volta l’Argentina è sulla soglia del baratro finanziario, con l’ennesimo fallimento pubblico in vista.



Difficile che Massa abbia davvero la possibilità e la volontà di risolvere le cose, visto che è l’attuale ministro delle Finanze ed è quindi corresponsabile del disastro generale ma, considerato che il suo antagonista al ballottaggio sarà quel Javier Milei che da noi sarebbe subito etichettato come grillino populista, forse sarà alla fine il minore dei mali davanti al caos in cui potrebbe sprofondare il Paese.  Milei si è presentato come leader del “partito motosega” (inteso come chi vorrebbe tagliare corruzione e privilegi) raccogliendo quasi il 30% di voti tra gli argentini delusi, ma senza dare alternative credibili e limitandosi a slogan roboanti.



Un quarto dell’elettorato sperava piuttosto in Patricia Bullrich, che all’inizio era data per favorita, ma alla fine – man mano che crescevano le quotazioni di Massa – ecco che il potere economico e politico le si è progressivamente allontanato virando verso di lui alla ricerca di benemerenze e vantaggi futuri. Alla fine la Bullrich – che da noi avrebbe potuto essere considerata come una candidata seria, moderata, di centro destra – con il 23,83% dei voti è rimasta esclusa dal secondo turno, mentre Massa ora è nettamente favorito, ma si trova come supporter degli ingombranti compagni viaggio, personaggi che in fondo tutto vogliono salvo che cambino le cose.



Entrambi peronisti (ma il termine è diventato come l’antifascismo italiano: lo sono quasi tutti) la Bullrich e Massa erano sostanzialmente intercambiabili nei programmi ma, al netto della demagogia, entrambi non sembravano e non sembrano capaci di voler veramente dare un taglio a quei privilegi su cui si basa la politica argentina, sia per chi detiene il potere, sia per la sterminata massa di beneficiati che in definitiva vivono proprio di questo. Forse la Bullrich poteva dare qualche possibilità maggiore di cambiamento (per esempio ha accennato alla necessità di tagli e risanamento nella spesa pubblica) e non è un caso che alla fine sia stata l’effettiva perdente tra i favoriti della vigilia. Tutto ciò perché, nonostante tutto sembri negativo, in Argentina metà Paese vive appunto tra sussidi ed elargizioni varie e – francamente – non sembra avere molta voglia di fare sacrifici.

Certamente nessuno può più permettersi di investire in aziende produttive, visto che un esportatore è obbligato a vendere in dollari ufficiali e quindi preferisce trasferirsi in Brasile o in Uruguay, ma si campa comunque in qualche modo lavorando e commerciando in “nero” e senza pensare molto al domani, cullandosi nella dolce speranza che comunque qualcuno alla fine ci penserà. Prospera – o almeno sopravvive – chi ha appunto accesso al mercato nero, chi ha esportato capitali e ha il tesoretto all’estero, chi traffica in una condizione di progressiva iperinflazione e dove, chi può, paga in pesos ma vuole dollari in cambio.

Proprio ricorrere ad una iperinflazione programmata potrebbe essere alla fine una strategia di Massa per ridurre il peso del pregresso deficit pubblico, ma è evidente che questa mossa sarà comunque attuata solo dopo le elezioni mettendo poi ulteriormente in crisi la sanità, i servizi, i pensionati e i dipendenti a reddito fisso: un copione già visto che rischierà di portare il Paese a tumulti e proteste di piazza. L’unica forza per l’Argentina restano e saranno le sue risorse naturali ed agricole (anche se in buona parte ipotecate con i debiti internazionali) con il consueto progressivo ed endemico aumento di differenze sociali nella speranza di non ritrovarsi come vent’anni fa in un nuovo “corralito” (fallimento pubblico) tra turbe di “cartoneros”, le folle di disperati che per mesi hanno campato vivendo di rifiuti e riciclaggio di immondizie.

 

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