Venerdì scorso i metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil si sono riuniti in sciopero a Roma in piazza del Popolo per far sentire la loro voce nel pieno della crisi del settore auto. I sindacati hanno protestato contro gli annunci di tagli alla produzione che minacciano la tenuta occupazionale: secondo le loro previsioni, a rischio vi sono 75 mila posti di lavoro.



La forte contrazione del settore non è un problema solo italiano. E non si spiega soltanto con la trasformazione verso altre tecnologie, vedi il motore elettrico. All’inizio degli anni 2000, la Cina valeva l’8% della produzione manifatturiera mondiale e produceva pochissimi autoveicoli, circa il 6-7% rispetto al totale prodotto nel mondo. Oggi la Cina vale un terzo della produzione industriale mondiale e produce il 30% delle auto prodotte nel mondo. L’Europa all’inizio degli anni 2000 era l’epicentro dell’industria mondiale dell’auto. Nel Vecchio continente si produceva il 30% delle auto prodotte nel mondo, oggi se ne producono sì e no il 15%.



Il settore dell’auto è al centro di un grande ribaltamento dei rapporti di forza. Il mondo asiatico – non solo la Cina, anche la Corea del Sud – ha fatto un upgrade potente della sua capacità produttiva e oggi, Giappone compreso, presenta l’industria che guida la trasformazione del settore: Toyota, Nissan, Kia, Hyunday, BYD, Leapmotor. Non è solo questione di propulsione, il vero punto è che quello che rende più avanzata l’industria orientale è l’innovazione tecnologica, il software, l’AI. L’infrastruttura digitale è nettamente più avanti rispetto a quella dell’industria europea. Ed è questo elemento a essere il vero fattore di competitività, che significa ritardo per i grandi costruttori europei.



Questa grande contrazione della produzione europea riguarda in realtà l’intero sistema industriale e si spiega in parte come conseguenza del processo di delocalizzazione produttiva, in parte con la crescita dell’industria asiatica e, anche, come perdita di competitività del prodotto europeo. In sintesi, in molti settori, quella asiatica, non è solo un’industria più potente, è anche un’industria più avanzata dal punto di vista tecnologico.

In tutti questi anni abbiamo perso ricchezza, tecnologia e lavoro. Oggi la programmazione economica di Ue e Usa ha il grande obiettivo di recuperare il terreno perduto. Gli Usa stanno procedendo bene e sono l’economia meglio attrezzata perché hanno delocalizzato molto, ma sono stati i primi a recuperare attività produttive investendo sul processo di back-reshoring. E, soprattutto, non hanno mai smesso di investire in innovazione. Tra qualche settimana vi saranno le elezioni presidenziali e il nuovo mandato potrebbe generare un fattore di stabilità importante per l’economia americana.

Il grande ritardo europeo, invece, è sul piano, in particolare, della tecnologia digitale. Si pensi, per esempio, alla grande logistica. La logistica rappresenta al meglio la trasformazione dell’industria in servizio. Usa e Cina sono ben attrezzate, non lo è l’Europa. Gli Usa hanno Amazon e i cinesi hanno Alibaba. L’Europa arriva per ultima all’appuntamento con la trasformazione. La grande piattaforma industriale europea, la Germania, è dentro una spirale pericolosa e preoccupante per l’intero continente. Americani e cinesi, inoltre, hanno fatto investimenti enormi nell’AI; l’Europa è concentrata nella scrittura dei regolamenti… ma di sola regolazione e burocrazia si muore. L’Europa non crediamo morirà, ma il problema è molto serio.

Il richiamo del lavoro è da prendere sul serio. Tuttavia, l’unico modo per recuperare terreno è rilanciare la produzione. Il che non significa sussidi e incentivi, come chiede Carlos Tavares: gli ammortizzatori sociali possono essere utili per sostenere le difficoltà occupazionali e gli incentivi possono in qualche momento favorire l’affermazione di nuovi prodotti. Ma l’unico modo vero per restituire competitività a un prodotto è l’innovazione tecnologica. L’Europa ha lasciato molto spazio alla Cina per troppo tempo, salvo poi rendersi conto in questi anni che questa dipendenza è rischiosa come quella energetica – corretta anch’essa di recente – nei confronti della Russia.

Non c’è altra via che quella degli investimenti in ricerca e sviluppo, in particolare per ciò che concerne digitale e intelligenza artificiale. Invece, per quanto riguarda la propulsione, il motore elettrico si rivelerà una tecnologia importante per il futuro della mobilità ma non l’unica. In Giappone, Toyota in particolare, stanno facendo sperimentazioni avanzatissime sul motore ad acqua: viene cioè ricavato l’idrogeno direttamente nel veicolo evitando lo storage di gas, che non è del tutto sicuro. I cinesi hanno inventato il motore elettrico, i giapponesi quello ibrido. L’Europa, che ha consegnato alla storia il motore diesel (copiato in tutto il mondo), deve mettere sul mercato una sua tecnologia. Solo così la sua industria tornerà competitiva.

Twitter: @sabella_oikos

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