È questa una settimana particolarmente complicata per il settore auto. Lunedì scorso il titolo Stellantis ha perso il 14% in ragione delle stime al ribasso del gruppo transalpino riguardo le vendite in Nord America. Da Wolfsburg si è saputo che ai piani alti di Volkswagen si sta valutando la chiusura di due stabilimenti in Germania. Cosa sta succedendo? L’audizione di Carlos Tavares in Parlamento, prevista per l’11 di ottobre, ci aiuterà a capire meglio i problemi europei oltre la situazione di Stellantis che riguarda l’Italia in modo diretto.



Come diciamo da tempo, vi sono criticità che si sovrappongono. Ma, forse, sembra essere arrivato il momento delle scelte per il settore. Per quanto la trasformazione della mobilità coinvolga tutti i costruttori sparsi nel mondo – in Europa come negli Stati Uniti, in Cina e in Giappone – pare evidente ormai che a Bruxelles si siano sbagliate stime e previsioni. E, come abbiamo già scritto, l’errore non è soltanto delle Istituzioni europee.



Iniziamo tuttavia col dire che sono ormai 15 anni che il mercato dell’auto in Europa resta contratto. Non ha più riacquistato il dinamismo che ha avuto nel periodo precedente la crisi economica del 2008, anno in cui le vendite si attestavano attorno ai 16 milioni di veicoli. Fino al 2014 il mercato ha avuto difficoltà a riprendersi e soltanto nel periodo 2015-2017 è tornato sui livelli pre-crisi (oltre i 15 milioni di veicoli venduti nel 2017), valori che si sono mantenuti nel periodo pre-pandemico. Ci ha poi pensato il Covid-19 a rallentare di molto le vendite e ad accelerare la transizione della mobilità. Sono questi, infatti, gli anni in cui si spinge per lo stop alla produzione di veicoli con motore endotermico, al momento prevista per il 2035.



Va anche considerato che mentre nel 2008, secondo Acea (Associazione dei costruttori europei di automobili), la durata media dei veicoli in Europa era di circa 8,4 anni, oggi – sempre secondo Acea- tale dato è cresciuto: nel 2020 la durata media ha raggiunto i 12,3 anni e oggi è ancora attestata su quei livelli. Ciò significa che in Europa, da 15 anni, si fanno macchine con una qualità superiore, ma che, naturalmente, il rinnovo del parco circolante è più lento.

Ecco perché i grandi costruttori hanno pensato che, puntando sul motore elettrico, i consumatori fossero indotti – anche dentro i nuovi quadri regolatori – a cambiare auto. E che questo potesse essere fattore di ripresa per l’industria europea. A ciò si aggiunge il fatto che il grande mercato cinese da anni sta puntando sull’auto elettrica: anche per questo, i costruttori europei hanno pensato di investire sull’elettrico, per competere con i costruttori cinesi sia in Europa, sia in Cina. Peccato che la tecnologia dell’elettrico sia stata inventata dai cinesi. E che, quindi, loro sono giocoforza più avanti e più competitivi.

Va anche detto, per onestà intellettuale, che tali valutazioni sia delle Istituzioni europee che del grande gotha dell’auto – Volkswagen, Renault, Stellantis, Bmw, ecc. – sono maturate in un periodo in cui il rapporto Ue-Cina era diverso. L’integrazione economica e industriale era maggiore, mentre oggi si cercano vie d’uscita per ridurre le dipendenze. In questo senso, gli americani procedono senza indugio: giorno dopo giorno, Washington sta riducendo le sue relazioni con Pechino.

L’Europa, in particolare la Germania, teme molto il calo degli scambi con la Cina. Inoltre, i grandi costruttori cinesi stanno espandendo la loro capacità produttiva nel perimetro del Vecchio continente – evitando in questo modo i dazi doganali – che resta sempre molto dipendente da Pechino per quanto riguarda le fondamentali importazioni di materie prime critiche e terre rare.

Per il momento, nonostante l’ipotesi di fusione di cui si parla (Stellantis, Renault, Bmw) e il possibile progetto comune “simil Airbus” in chiave anti-cinese (annunciato dal presidente Acea Luca De Meo nella sua lettera a tutti gli stakeholder), ancora non vi è nessuna risposta concreta da parte dei costruttori, solo annunci di tagli del personale e di chiusura di stabilimenti. In Italia, la produzione di Stellantis quest’anno è calata del 30%. Quella imboccata dalla grande industria europea sembra davvero una curva cieca.

Twitter: @sabella_oikos

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