Se qualunque multinazionale dell’auto intende produrre in Europa, trova facilmente mercato in Italia, in un contesto sociale, ambientale e culturale vocato alla produzione dell’auto e con un indotto così sviluppato che è capace di produrre in Italia anche per case automobilistiche straniere. Parola del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, a margine del tavolo Automotive. In assenza di un aumento della produzione di auto in Italia, per colmare quel gap tra auto prodotte e immatricolate “che esiste solo In Italia” dal prossimo anno le risorse del fondo automotive “saranno indirizzate non più a sviluppare o incentivare i consumi, ma a sviluppare e incentivare nuovi investimenti produttivi nel nostro Paese”, perché, a detta del ministro, ci sono tutte le condizioni per avere un secondo produttore di auto: mercato, produzione e contesto che possono invogliare a investire in Italia, Paese che nel 2023 ha prodotto, tra autovetture e veicoli commerciali, 751.384 unità contro le 685.753 del 2022, ma accusa una produzione ancora inferiore dell’8,2% rispetto al 2019.
A margine dell’incontro non sono mancate nuove critiche a Stellantis, rea di trascurare l’Italia a vantaggio della componente d’oltralpe. Colpa della presenza dello Stato francese nel gruppo come terzo azionista dietro Exor e Peugeot? “Se Tavares o altri ritengono che l’Italia debba fare come la Francia che recentemente ha aumentato i diritti di voto in Stellantis, ce lo chiedano”. Per la cronaca, Exor possiede il 14,4% di Stellantis. La famiglia Peugeot, francese, ha il 7,2% e lo Stato francese vi partecipa con il 6,2%. Va rilevato che la presenza di Parigi risale ai tempi dell’ingresso tra i soci della cinese Dongfeng. Lo Stato intervenne in una Peugeot in grave crisi per bilanciare il peso dell’azionista di Pechino, poi uscito quando apparve chiaro che la Francia non avrebbe acconsentito alla cessione del gruppo a quattro ruote a un rivale ambizioso, a caccia di tecnologia. Da allora, però, le cose sono molto cambiate. Oggi è la Cina a detenere un’indiscutibile leadership nell’auto elettrica, sia in chiave di tecnologia che di offerta, vuoi sul piano dei prezzi che della logistica, pronta a invadere i mercati, a partire dall’Europa con veicoli elettrici allo stesso prezzo di quelli con motore termico. Ovvio, dice Tavares, che “chi non è in grado di produrre veicoli competitivi dal punto di vista dei costi si troverà in un problema esistenziale”.
Ha senso agitare la minaccia cinese per far paura a Stellantis? La minaccia è puramente teorica, ammesso e non concesso che i cinesi dopo la nostra uscita dalla Via della Seta abbiano voglia di riprendere una collaborazione e così impegnativa con il Bel Paese. Specie ora che sono loro a poter scegliere i partner. Stiamo davvero pensando fare dell’Italia un hub di auto in Europa? Se parliamo di auto cinesi, fa notare Mario Seminerio, consideriamo che i loro produttori sono già all’opera altrove, ad esempio in Ungheria. Si possono immaginare altre alleanze? Magari con Elon Musk, corteggiato da mezzo mondo. Ma l’ipotesi lascia davvero perplessi. Per quale ragione Tesla dovremmo scegliere l’Italia. In cambio di una quota di Ferrari, probabilmente. Ma sarebbe una follia.
L’alternativa? Tavares non esclude, anzi auspica, un nuovo merger che consenta di allargare il perimetro di Stellantis, primo esempio di multinazionale europea dell’auto. Industria con pesanti condizionamenti nazionali. Certo, non sarà facile. I condizionamenti subiti da Stellantis in Francia sono fortissimi. Ma la stessa Francia sta affrontando il problema di Ampére, la divisione elettrica di Renault che si sperava, invano, di poter collocare in Borsa. Che fare allora? L’Italia non ha i mezzi per una politica industriale aggressiva sul fronte dell’auto. Il mercato interno di un Paese in forte regressione demografica non permette voli pindarici. L’andamento dei consumi non alimenta grandi speranze. L’export, al di fuori dei brand del lusso, dovrà confrontarsi con una concorrenza spietata.
No, non è il caso di arrendersi, ma nemmeno di nutrire fantasie che non hanno fondamento. L’idea che Stellantis deprima la produzione ex Fiat è lunare. Così come pensare che le vetture possano essere espressione del made in Italy (come un formaggio dop). Anche perché in realtà dagli impianti italiani escono forse più Jeep che Alfa.
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