L’avvento dell’auto elettrica e la decisione dell’UE di vietare la produzione di vetture con motori endotermici dal 2035 stanno acuendo la crisi del settore auto. Una situazione che si riflette non solo sui produttori di vetture, ma anche su altri comparti che lavorano in stretta connessione con i marchi dei costruttori, producendo componenti per le automobili. Anche da lì arriva una richiesta pressante di intervento per cambiare le regole europee. Andrebbe rivisto il limite del 2035, spiega Paolo Pozzi, presidente dell’European Industrial Fasteners Institute, CEO di Agrati Group, uno dei leader mondiali nei sistemi di fissaggio per il settore automobilistico, e bisogna intervenire subito anche sui target di vendita dell’elettrico imposti alle aziende per gli anni a venire: se non verranno rispettati, le imprese, già alle prese con un mercato difficile, potrebbero subire delle penali.



Il settore dell’auto sta attraversando una crisi profonda in Europa: in questo contesto, com’è la situazione dell’automotive italiano?

La situazione del nostro automotive è nota. Posso dare il nostro punto di vista come fornitori dell’automotive in Italia, in Francia, in Cina e negli USA. Il tema non è solo italiano e neanche europeo: riguarda pure gli Stati Uniti. La componentistica italiana ha qualche vantaggio in più perché mediamente siamo più solidi rispetto ad altri nostri concorrenti, in Europa in particolare, dove i tedeschi, per esempio, hanno una serie di svantaggi dovuti al costo del lavoro. Soffriamo i volumi: questa situazione di incertezza e di poca chiarezza ha portato la domanda a ridursi in maniera significativa, dopo che lo scorso anno era stato un buon anno.



Chi risente di più del momento negativo?

Stellantis è l’azienda che ha subito di più, e con lei i “generalisti” come Volkswagen, Renault. I componentisti non se la passano benissimo. Al loro interno c’è chi ha corso rischi più elevati perché ha subito in maniera significativa l’impatto dell’elettrificazione. Se penso ai nostri bulloni, constato che abbiamo un impatto nel passare da una vettura tradizionale a una elettrica, perché tendenzialmente ci sono meno componenti e meno sistemi di fissaggio, però abbiamo meno rischi di altri perché la parte dello chassis, delle sospensioni, delle ruote, continua a esistere e dovrà utilizzare ancora i nostri prodotti.



Il motore a combustione ha molte più viti e componenti di fissaggio rispetto a un motore elettrico, dove è più semplice anche la trasmissione. Il lavoro è comunque ridotto?

È vero anche, e lo abbiamo visto in questi ultimi tre anni in cui abbiamo sviluppato diversi progetti per piattaforme elettriche, che comunque sono nate delle applicazioni nuove: con la prima ondata di piattaforme elettriche si sono sviluppati progetti in alcuni casi con soluzioni più complesse di quanto avrebbero dovuto essere. Ma tutti questi progetti, tantissimi fra il 2022 e il 2023, alla resa dei conti non sono partiti, sono stati spostati, annullati o ridotti in termini di volumi, mentre nel frattempo i fornitori hanno investito. C’è chi ha costruito impianti nuovi dedicati a progetti che non sono partiti: l’impatto sulla parte finanziaria dei fornitori è significativo. Ora quello che manca è la certezza del futuro.

L’abolizione dell’immatricolazione dei veicoli a combustione dal 2035 va rivista?

Probabilmente è sbagliata, perché comporta due problemi: nessuno, oltre all’Europa, si è dato questi vincoli. Ed è doppiamente un errore perché il tempo previsto per raggiungere certi obiettivi è troppo ridotto.

Gli obiettivi dell’UE sono tanto più difficili da raggiungere alla luce anche dell’andamento del mercato delle auto elettriche?

Quest’anno la percentuale di veicoli elettrici immatricolati è scesa in Europa dal 14 al 12,5%. C’è stata una frenata dovuta a tante ragioni: incentivi limitati, fine della fase dei fan tecnologici che avrebbero comprato l’auto elettrica a ogni costo o l’hanno presa per curiosità. Molti l’hanno rivenduta e non la vogliono più, impattando indirettamente il giudizio di altri, che non comprano perché le vetture costano troppo, non hanno sufficiente autonomia o mancano le infrastrutture per ricaricarle. Ma soprattutto c’è incertezza. Si sta pensando di rivedere il Fit for 55. Ma rivedere cosa vuol dire? Intanto, tutti quelli che non stanno comprando le auto sono i clienti della fascia medio-bassa e tutto il parco auto italiano ed europeo sta invecchiando in maniera significativa.

Di cosa avrebbe bisogno il settore per riprendersi?

Per prima cosa, la Commissione UE e il Parlamento europeo devono decidere molto rapidamente di ridiscutere i termini del Green Deal. È stato votato un anno fa e il passaggio per ridiscutere i termini dovrebbe essere il 2026, ma non possiamo aspettare fino ad allora. Devono decidere in fretta: non sono convinto che lo facciano entro quest’anno, spero almeno all’inizio del 2025. In secondo luogo, bisogna rivedere i target: l’anno prossimo le aziende dovrebbero vendere il 20% di vetture elettriche, Stellantis, se non lo farà, rischia di pagare 2 o 3 miliardi di penali. Idem per Volkswagen. Complessivamente in Europa, sulla base di una simulazione del mix di auto vendute quest’anno, ci sono potenziali penali per 13 miliardi. Se si chiude quest’anno al 12,5% di auto elettriche, è poco probabile che si arrivi al 20% nel prossimo.

Per il settore sarebbe un peso non facile da sopportare.

Se non si arriva al 20% di auto elettriche, il rischio è che non verranno prodotte nemmeno auto a combustione per le quali le aziende avranno ricevuto gli ordini: ogni auto in più di questo tipo aumenterebbe il rischio di una penale. Piuttosto non la venderanno, perché così ci perdono di meno. Lo hanno già annunciato.

Quindi non venderanno le auto a combustione perché così la percentuale di quelle elettriche rispetto al venduto aumenta?

Esatto. Più vendo auto a combustione e meno ne vendo elettriche, più sono a rischio di penale. Nei prossimi anni potrebbe essere ancora peggio.

Andrebbe riconsiderato anche il limite del 2035, quando si potranno produrre solo auto elettriche?

Secondo me sarebbe meglio toglierlo, provando a lasciare aperta la tipologia di tecnologia da utilizzare per ridurre le emissioni. Inoltre, se vogliamo ridurre le emissioni di CO2 delle auto rapidamente, dovremmo togliere dal mercato le vetture che inquinano di più, magari sostituendole con vetture ancora a combustione ma Euro 6 o Euro 7. Oggi metà del parco auto in Italia è sotto l’Euro 5. Dovremmo incentivare i possessori di auto a cambiarla: bisogna dar loro un po’ di soldi e togliere il dubbio che tra dieci anni la macchina dovranno buttarla via.

(Paolo Rossetti)

 

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