Nel mese di settembre è uscito un pallidissimo sole che sarà, con ogni probabilità, l’unico spiraglio di luce che il mercato dell’auto in Europa vedrà quest’anno. Dopo otto mesi di continue contrazioni, il mese passato ha fatto registrare un leggero segno positivo (+1,1%) con 1,3 milioni di veicoli venduti, 14.500 in più dello stesso periodo dello scorso anno. Nei primi nove mesi del 2020, però, rimane una voragine di mancate vendite e in più il periodo che abbiamo davanti con i principali mercati del Vecchio Continente alle prese con nuove misure draconiane per combattere il coronavirus non lascia spazio alla speranza. Alla fine di settembre mancano all’appello più di 3,5 milioni di auto vendute, una percentuale che avvicina la flessione del mercato europeo al 30%, rispetto ai primi tre trimestri del 2019. E anche cercando di pensare in positivo è molto difficile che alla fine dell’anno le percentuali di caduta siano migliori di quelle attuali.
Nessuno va bene: in Francia, grazie alla proroga degli incentivi sperano di chiudere l’anno a -28%, in Spagna per lo stesso motivo puntano al -35%, in Germania prevedono un -25% anche grazie a un settembre positivo e in Inghilterra a un -33%.
Un disastro, insomma, a cui dà il suo contributo anche l’Italia. A settembre le vendite delle auto nel nostro Paese sono cresciute del 9,5% (il migliore dato in Europa) rispetto allo stesso periodo del 2019, ma questo balzo è dovuto soltanto agli incentivi statali che hanno riguardato molte categorie di auto, compresi i veicoli che emettono dai 91 ai 110 grammi di CO2 al chilometro o nella fascia tra 61-90 g/Km che comprendono le auto mild Hybrid, ovvero quelle con motori termici che hanno una piccola batteria che contribuisce a tenere bassi consumi ed emissioni. I fondi destinati alla prima categoria (piccoli veicoli con un motore termico), però, sono già finiti e quelli per la seconda si stanno esaurendo in questi giorni.
Gli incentivi non sono stati rifinanziati per l’ultima parte dell’anno e, quindi, è facile immaginare come il calo complessivo del 35% del mercato italiano (con mezzo milione di auto vendute in meno nei primi tre trimestri) rischi solo di peggiorare. Anche perché solo le auto incentivate hanno avuto un trend di vendita positivo: le elettriche sono più che raddoppiate arrivando a quota 17 mila auto vendute in nove mesi, 4 mila delle quali solo in settembre, le ibride rappresentano un quinto di quello che è ormai un mercato paragonabile a quello dei primi anni Ottanta o della crisi post Lehman.
Il Covid, insomma, ha dato il colpo di grazia a un settore che era già alle prese con una situazione difficile, fatta di limiti alle emissioni con multe annesse, un cambiamento tecnologico imposto e un mutamento dei costumi non favorevole. Ora siamo in attesa del peggio. Ma si può fare poco o nulla. O meglio tutto quello che si poteva fare di sbagliato è già stato fatto, tutti gli errori che poteva compiere l’Europa sono diventati una legge comunitaria e tutti i vantaggi che si potevano dare all’industria automobilistica cinese sono stati concessi. E il Covid ha solo accelerato un finale che si poteva già leggere all’orizzonte.
Ora si può solo tagliare fabbriche e dipendenti (50 mila solo in Germania e un sesto dei lavoratori britannici del settore), ridurre costi, lesinare sulla qualità, aumentando i prezzi per cercare di stare a galla. Ora le case automobilistiche europee che avevano un indubbio vantaggio tecnologico sui motori termici possono far finta di credere che nei prossimi anni guideremo, tutti e solo, auto elettriche e che, da domani, andremo da casa al lavoro in auto senza toccare il volante o l’acceleratore, investendo su queste tecnologie tutto il denaro possibile e scordando che in questo modo dipenderemo, in tutto e per tutto, dalle materie prime in mano ai cinesi e dalla tecnologia americana. Sarà una rivoluzione e come tale porterà con sé morti e feriti. Ma saranno solo dalla nostra parte.