Giuro, non vorremmo essere nei panni delle case automobilistiche europee. Hanno lottato contro direttive europee che imponevano un prodotto immaturo e hanno perso. Hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco e hanno fatto finta di credere in un’evoluzione positiva del mercato contro ogni logica. Hanno sperato che le decisioni politiche portassero a un radicale cambiamento del parco circolante europeo e non sta avvenendo. Anzi, dopo aver speso miliardi di euro in ricerca e sviluppo sui nuovi prodotti, dato uno stop a ogni evoluzione delle altre trazioni e cercato di spingere commercialmente vetture che quasi nessuno vuole, vedono all’orizzonte un, forse inevitabile, cambiamento di rotta politica o perlomeno un ammorbidimento dei diktat impositivi che li lascerebbe in mezzo al guado ad affogare. In più, nonostante gli sforzi compiuti, alle porte hanno concorrenti che hanno più esperienza sulla tecnologia, accesso diretto alle materie prime e, non ultimo, il sostanziale appoggio di uno Stato dirigista.



Allora non resta che parlare di design, di innovazioni tecnologiche che lasciano il tempo che trovano, dell’ennesimo gadget elettronico inutile e, a volte, anche fastidioso. Strade obbligate per chi davvero non ha molto altro da offrire visto che tutti gli investimenti sono allocati sullo sviluppo della trazione elettrica alla ricerca di soluzioni che possano far cambiare idea agli automobilisti. In attesa messianica di un’auto che si ricarichi molto velocemente, che faccia un migliaio di chilometri con un pieno e costi una cifra ragionevole, si cerca solo di sopravvivere cambiando tutto, come se il passato fosse un animale feroce da tenere a distanza.



Si studiano e si attuano nuove forme la distribuzione, si punta tutto sul software realizzato in casa, si cerca di vendere i dati che arrivano dalle auto connesse, si provano soluzioni finanziarie innovative. E soprattutto si cambia la politica di prezzo. Niente più sconti e listini che più che seguire i tassi d’inflazione, li surclassano. Per mantenersi a galla, infatti, le case automobilistiche europee hanno dovuto tagliare i costi e alzare i prezzi mettendo la testa sul ceppo dove li attendono i concorrenti orientali. I bilanci in questo modo reggono, ma hanno un estremo bisogno di fare economie di scala e il mercato è quello che è, in balia degli incentivi statali. L’unica strada rimane quella delle aggregazioni.



Una di certo parlerà francese e riguarda l’Italia da vicino perché coinvolgerà fabbriche e marchi del Belpaese. Renault e Stellantis, entrambi partecipati dallo Stato francese, hanno, con ogni probabilità, un destino in comune che si sta scrivendo, sottotraccia, a Parigi. L’operazione non sarà semplice perché gli interessi in gioco sono enormi. Ma una cosa è certa: il ruolo dell’Italia nella partita sarà quello dello spettatore. O meglio un solo giocatore italiano scenderà in campo anche se non avrà la maglia azzurra, il Ceo di Renault Luca De Meo. La speranza è che, almeno lui, possa vincere la sua personale partita.

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