Com’è noto, mercoledì scorso John Elkann è stato in audizione in Parlamento per riferire circa la complicata situazione di Stellantis, in particolare in Europa e nel nostro Paese. “Senza di noi l’auto in Italia sarebbe scomparsa” ha detto non a torto Elkann, ripercorrendo soprattutto la grande impresa compiuta tra il 2003 e il 2018, anno in cui è venuto a mancare Sergio Marchionne, guida e anima di una delle più grandi performance industriali che si ricordino nella storia delle economie avanzate.
Purtroppo, i risultati raggiunti negli anni che sono seguiti dopo la morte di Marchionne e con la fondazione di Stellantis (2021) non sono all’altezza dei precedenti. Tanto che oggi, in Italia, la produzione nel 2024 si è fermata a meno di 285 mila autovetture (elaborazioni periodiche Fim-Cisl di cui non si ricordano smentite da parte dell’azienda), quasi il 45% in meno rispetto all’anno precedente e livello più basso degli ultimi 70 anni. Il totale dei veicoli prodotti, che comprende quelli commerciali, è inferiore a 500 mila.
La triste verità di questo ciclo appena conclusosi con l’allontanamento di Carlos Tavares è che il gruppo Stellantis si è molto contratto in Europa, non registra grandi numeri in Cina e in Asia, ha un andamento altalenante negli Ua, cresce in Sudamerica.
Elkann non ha disegnato grandi traiettorie per il futuro, anche perché al momento l’azienda è ancora senza il sostituto di Tavares. Ma, in questo senso, ha rassicurato che arriverà entro la fine di giugno. Dopodiché, ha detto che a Termoli non sarà fatta la gigafactory e ha smentito il ministro Urso che dice dall’anno scorso di avere un accordo con Stellantis per la produzione di un milione di auto in Italia.
Tutto ciò premesso, per i costruttori europei il momento è molto critico, in particolare per Stellantis e Volkswagen che, a differenza di Renault, in questi anni hanno sbagliato qualche strategia, sopravvalutando di molto la transizione all’elettrico. Dopodiché, la tecnologia elettrica sarà certamente una di quelle cha avrà futuro, ma non sarà l’unica.
Nel frattempo, i costruttori asiatici . vedi Toyota (Giappone), Kia (Corea) e Byd (Cina) – sono sempre più presenti nel mercato europeo. Byd, in particolare, sta costruendo il suo primo stabilimento in Ungheria e ha progetti di localizzazione anche in Spagna. Proprio in questi giorni, si è saputo che – grazie al dinamismo di Alfredo Altavilla – Byd ha stretto accordi con Brembo e Pirelli, notizia importante anche perché significa che, in Europa, il colosso cinese si avvarrà anche delle produzioni locali.
Oliver Blume, Ceo della Volkswagen, qualche mese fa è intervenuto sulla crisi dell’azienda tedesca e ha testualmente detto: “L’industria europea ha tre anni di tempo per invertire questo trend o scomparirà”.
Cosa intendeva Blume con queste parole? Cosa significa “invertire il trend”?
A parere di chi scrive, solo una nuova tecnologia può mettere i costruttori europei nell’ottica di tornare competitivi. I cinesi hanno il merito di aver lanciato il motore elettrico, i giapponesi quello ibrido. Gli europei sono rimasti alla grande invenzione del diesel. Ma oggi non basta più. Ci vuole un’innovazione che garantisca competitività, nella qualità e nei costi, ragione per cui la concorrenza asiatica è decisamente più avanzata.
Twitter: @sabella_oikos
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