Prima di ogni polemica sul tema dell’autonomia, ampiamente e disordinatamente scatenate, forse ad arte, può essere interessante un’analisi del testo approvato dal Governo, testo che sarà presentato ad horas alla Conferenza Stato-Regioni: questo ulteriore adempimento, benché non prescritto dal normale procedimento legislativo, è in questo caso decisamente opportuno perché si possa venire a conoscenza e condividere il contenuto del testo da parte dell’assise in cui siedono gli esecutivi regionali e – volendo – anche dell’opposizione.
Si tratta infatti di un Ddl essenzialmente di procedura che, di per sé, non compromette o prefigura alcuna decisione di merito, benché – sommessa nota critica – si parli nelle prime righe anche di “principi generali” da definire nell’attuazione della norma costituzionale, forse una reminiscenza di quando si voleva definire il provvedimento come “legge quadro”, denominazione poi espunta dal testo definitivo.
Quanto alla struttura del provvedimento, dopo la declinazione di rito delle finalità (art. 1, co. 1), l’articolato inserisce come condizione indefettibile per l’attribuzione “di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’art. 116, III comma della Costituzione” la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale.
Al di là di ogni spiegazione tecnica circa il senso di questa norma, che necessiterebbe di un’ampia trattazione sia relativamente al senso dell’espressione (che è presente in Costituzione, art. 117, co. 2, lett. m) sia alla sua concretizzazione (si tratta infatti di un’espressione generale che andrebbe declinata per ogni singolo “diritto civile” e anche e soprattutto per ogni “diritto sociale”, tenendo conto che tali livelli essenziali sono già definiti per sanità e che sono delineati nelle loro linee generali anche in leggi ordinarie – segnatamente sul lavoro e sull’istruzione), si tratta di un chiarimento importante per l’intera operazione che si prospetta.
Quello che si dice in questo modo è che l’autonomia differenziata non è assolutamente il presupposto per “dividere il Paese”; questa e le espressioni simili che si sono sentite in questi giorni sono pretestuose e finalizzate, per l’ennesima volta, a bloccare il processo previsto dalla Costituzione, approvato per referendum da Lombardia e Veneto e già attivato tramite una serie di trattative tra il Governo e le Regioni richiedenti, tra cui l’Emilia-Romagna (e richiamate all’art. 10 del Ddl) e che non aveva nulla di discriminatorio né presentava intenti secessionisti.
L’art. 2 regolamenta il procedimento. La prima fase ha come scopo di pervenire ad un’intesa definita come preliminare tra il Governo e la Regione richiedente; l’intesa serve a definire, secondo un accordo tra i due esecutivi, le funzioni amministrative da trasferire (compresi gli aspetti finanziari); ciò fatto, occorre che vi sia un ulteriore passaggio, cioè il parere della Conferenza Stato-Regioni.
L’articolo in esame prevede una serie di termini per tali adempimenti che, se non rispettati, non comportano alcuna sospensione del procedimento, che prosegue anche senza i relativi pareri. Segue una prima forma di coinvolgimento delle Camere, chiamate ad esprimersi sull’intesa preliminare tramite atti di indirizzo che riflettano gli orientamenti delle due assemblee le quali – non dimentichiamolo – dovranno poi approvare la legge con la maggioranza assoluta.
L’art. 3 regolamenta il processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che, come si è detto, sono preliminari alla devoluzione di funzioni alle Regioni per i casi (che sono poi quasi tutti) in cui siano coinvolti diritti civili e sociali. In questa sede si precisa che non occorre definire solo i livelli essenziali delle prestazioni ma anche “i costi e i fabbisogni standard” (art. 3, comma 1); si tratta di un altro tassello importante.
Esso riguarda non solo l’attuazione dell’art. 116, co. 3, ma anche in generale i rapporti finanziari tra Stato e Regioni, essendo elementi previsti dalla legge delega sul federalismo fiscale (e non ancora realizzati) e ribaditi dalla legge di stabilità del 2022. Viene qui delineato un percorso che fa comprendere come l’intento del Governo sia relativo ad una riforma generale del regionalismo italiano; esso ha proceduto fin qui a rilento perché trattasi di un percorso tecnico assai difficile da porre in essere, che richiede una profonda conoscenza (anche fattuale e basata su dati reali e finanziari) dei diversi aspetti della struttura fondamentale dello Stato.
L’intento è dunque lodevole e la sua realizzazione quanto mai necessaria per attuare riforme (es. quella sul federalismo fiscale) di cui il Paese ha estremo bisogno e che i governi precedenti non sono riusciti a realizzare.
Si comprende così che, a monte dell’attuazione dell’autonomia differenziata – o a valle della stessa, è il regionalismo italiano nel suo insieme ad essere in questione e non solo un aspetto particolare. Se l’operazione avrà successo, si comprenderà quanto si va dicendo da tempo tra gli studiosi, e cioè che l’autonomia differenziata può diventare l’occasione di ridiscutere a fondo tutti i temi centrali per riorientare molto della nostra amministrazione, compresa quella centrale.
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