Giovedì prossimo si terrà la riunione del Consiglio direttivo della Bce e nei giorni scorsi sono arrivate dichiarazioni importanti da parte dei due membri italiani. Fabio Panetta, infatti, intervistato dal quotidiano tedesco Handelsblatt, ha spiegato che è stato giusto alzare i tassi a dicembre e segnalare la volontà di procedere nella stessa direzione a febbraio, ma “qualsiasi indicazione incondizionata, ossia slegata dall’evoluzione prospettica dell’economia, che vada oltre febbraio si discosterebbe dal nostro approccio basato sui dati”.



Dal suo punto di vista, è bene che la Bce fornisca indicazioni ai mercati, ma esse non devono essere, nelle attuali circostanze, “incondizionate”. Durante un convegno, invece, Ignazio Visco è tornato a chiedere un approccio prudente nella normalizzazione della politica monetaria della Bce, spiegando di non essere convinto “che sia oggi meglio rischiare di restringere troppo anziché troppo poco”.



Il governatore della Banca d’Italia ha evidenziato anche la necessità di un miglioramento comunicativo da parte della Bce, perché “stiamo dando messaggi troppo duri” che possono spaventare gli operatori economici. Come spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, “si tratta di dichiarazioni che rientrano nel posizionamento tipico dei membri del Consiglio direttivo a ridosso delle riunioni. C’è, in qualche modo, un negoziato virtuale, a mezzo stampa, in corso, com’è fisiologico che sia. È comunque importante non dimenticare lo scenario sottostante a queste dichiarazioni”.



A che cosa si riferisce?

Le prospettive economiche dell’Eurozona per l’anno in corso si stanno rivelando migliori del previsto. Basti pensare che a ottobre si prevedeva per la Germania un Pil a -0,4%, mentre le stime del Governo tedesco dell’altro giorno parlano di un +0,2%. Certo, si tratta di numeri che rivelano pur sempre una debolezza di fondo del quadro congiunturale, ma si tratta comunque di un miglioramento che fornirà trazione a quanti nel Consiglio direttivo propendono per un’impostazione più restrittiva della politica monetaria. C’è poi un ulteriore aspetto da evidenziare rispetto alle dichiarazioni di Visco e Panetta.

Quale?

Rappresentano, ritengo, un invito cortese e sottile alla presidente Lagarde di calibrare meglio il tono della sua comunicazione. A dicembre, infatti, la Bce ha aumentato i tassi di mezzo punto come ampiamente previsto, ma quello che ha lasciato sorpresi i mercati è stato il tono particolarmente hawkish della presidente durante la conferenza stampa, apparso come un segnale più restrittivo rispetto alla decisione assunta lo stesso giorno. L’invito è, quindi, di moderare la comunicazione riflettendo in modo più accurato quello che sarà l’esito della decisione di giovedì prossimo, probabilmente un altro rialzo, il quinto consecutivo, di 50 punti base analogo a quello dello scorso dicembre. È, inoltre, interessante mettere le dichiarazioni di Visco e Panetta in rapporto con il dibattito oggi in corso negli Stati Uniti, anche perché la prossima settimana si riunirà il Fomc della Fed.

Cosa ci aspetta dalla banca centrale americana?

L’attesa di mercato è per un rialzo di un quarto di punto. Questo confermerebbe un progressivo rallentamento del ritmo di normalizzazione della politica monetaria americana. La Fed, solo l’anno scorso, ha alzato i tassi di interesse consecutivamente per sette volte, ben quattro volte di seguito dello 0,75%: a dicembre ha rallentato la velocità del rialzo, aumentando i tassi di intervento dello 0,5%. L’aspettativa per la prossima settimana è per un ulteriore rallentamento, con un aumento dello 0,25%. Di fatto, si sta solidificando in seno al Fomc una posizione, rappresentata in particolare dalla vicepresidente Lael Brainard, che evidenzia la necessità di “mettere in pausa” i rialzi e iniziare un periodo di osservazione per valutare con accuratezza gli effetti sull’economia.

Questo potrebbe avere una qualche influenza sulle scelte della Bce?

Sappiamo che esiste un condizionamento di tipo culturale della Fed sulla Bce, che non trae origine da analogie del quadro congiunturale, che è assai diverso tra le due sponde dell’Atlantico. Del resto, non si può non notare che quando la Fed ha inaugurato la stagione dei rialzi di 75 punti base la Bce non ha tardato a seguirne le mosse e quando ha rallentato a 50 punti base l’Eurotower ha fatto altrettanto. C’è una correlazione, ovviamente non perfetta, tra le decisioni delle due banche centrali, per cui alcuni nel Consiglio direttivo cercheranno di utilizzare quelle della Fed, e soprattutto il modo con cui verranno giustificate mercoledì prossimo, per condizionare il dibattito e le scelte che saranno prese giovedì dalla Bce.

Si potrebbe, quindi, arrivare a un rialzo a febbraio per poi prendersi una pausa per valutare gli effetti delle decisioni di politica monetaria?

Si tratterebbe di una posizione che sicuramente agevolerebbe l’Italia e la sua fragile economia, ma non so quanto i tempi possano essere maturi per concretizzarla. La Bce, infatti, ha aumentato i tassi del 2,5% l’anno scorso, contro il 4,25% della Fed, quindi è ancora lontana dal tasso terminale. Inoltre, se negli Usa l’inflazione sembra aver toccato il picco a giugno, nell’Eurozona forse ciò è avvenuto a ottobre, ma non ci sono ancora sufficienti dati per averne effettivo riscontro. Nella nuova batteria di previsioni che verrà rilasciata dalla Bce a marzo sarà importante guardare alle aspettative di medio periodo dell’inflazione: se resteranno ancora disancorate rispetto al target del 2%, i falchi avranno più cartucce a disposizione.

Ascoltando le dichiarazioni del vicepresidente spagnolo De Guindos (l’azione della Bce non è al momento ancora sufficiente) o del governatore della Banca centrale francese Villeroy de Galhau (la battaglia contro l’inflazione non è ancora vinta), sembra che l’Italia sia isolata nel chiedere un’azione prudente da parte dell’Eurotower. È così?

In generale, nelle dinamiche europee non osserviamo una dialettica frontale tra Paesi mediterranei e Paesi del Nord. L’Italia, inoltre, ha un elevato debito, e altri Paesi che in qualche modo beneficerebbero di una politica monetaria più lasca esitano ad allinearsi sulla sua stessa posizione perché per loro sarebbe costoso farlo in termini di segnale al mercato. Quello che in ogni caso conta in consessi di questo genere non è solo il peso della propria economia, ma anche “la voce”, cioè l’abilità di incidere intellettualmente e autorevolmente sul dibattito. È difficile, però, conoscere nel merito quali sono i ragionamenti, le valutazioni sia di Visco che di Panetta portate nel Consiglio direttivo e il peso che hanno.

Finora abbiamo parlato della possibilità di una diversa politica sui tassi. C’è possibilità che cambi quella sul riacquisto dei titolo di stato o si proseguirà nella strada del cosiddetto Qt?

Quella è una decisione presa che verrà semplicemente attuata a far corso da marzo, a meno di eventi particolarmente avversi che si materializzino nel frattempo. È chiaro, però, che dietro le quinte i rialzi dei tassi sono un po’ negoziati considerando la postura che la Bce assumerà rispetto ai riacquisti dei titoli. Tuttavia, capiremo soltanto nei prossimi mesi quale potrebbe essere il risultato di un possibile negoziato di questo tipo, quando la Bce dovrà decidere un’eventuale, ulteriore, ricalibrazione nella riduzione dei riacquisti di titoli il prossimo giugno.

Quando potrebbe essere presa questa decisione?

A giugno, stando alle indicazioni della stessa Bce. È presumibile, però, che ci sia un dibattito preliminare, a partire già dalla riunione prevista per la prossima settimana.

(Lorenzo Torrisi)

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