Stavolta gli ucraini ammettono il rischio di una sconfitta, per indurre gli USA a sostenerli inviando nuove armi. E la prospettiva di una trattativa che faccia finire la guerra, in pratica, non viene neanche presa in considerazione. L’Occidente, d’altra parte, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del COI e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi, tra cui Afghanistan, Libano, Somalia e Kosovo, con l’incriminazione di Putin ha di fatto chiuso la strada a ogni negoziazione per poi trovarsi di fronte a una guerra dalla quale non sa come uscire.
Il conflitto in Ucraina, insomma, è in un vicolo cieco. Come testimonia il comandante delle forze americane in Europa, Christopher Cavoli, dovremmo addirittura rimpiangere la guerra fredda, dove le grandi potenze erano almeno in contatto per scongiurare il pericolo di una nuova guerra mondiale. Quella che potrebbe verificarsi se i due conflitti più importanti che si stanno combattendo ora diventassero un’unica guerra, con la Russia impegnata contro gli ucraini da una parte ma anche a sostenere l’Iran contro Israele, e gli americani come grande sponsor di Kiev e di Tel Aviv. In tal caso Zelensky avrebbe finalmente il sostegno che chiede da tempo.
Il comandante delle forze armate ucraine, Syrsky, ha ammesso che la situazione al fronte è notevolmente peggiorata, mentre molte città ucraine sono senza luce a causa dei bombardamenti russi. Non basta ancora per sedersi a un tavolo di pace e cercare di limitare i danni?
No, non basta, perché queste ammissioni possono essere lette in modo diverso. Syrsky non è l’unico secondo il quale gli ucraini rischiano il collasso; la stessa cosa ha sostenuto Christopher Cavoli, il comandante dell’US Army Europe. Sono dichiarazioni funzionali a ottenere il supporto da parte degli USA, soprattutto in termini di armi o addirittura di uomini. La situazione per gli ucraini, comunque, è tragica. I russi finora si erano limitati a colpire sottostazioni della distribuzione energetica, ora invece hanno colpito gli impianti di produzione e le sale macchine facendo danni che non si possono riparare con il fil di ferro. Il Pentagono dice che i russi, in termini di supporto di fuoco, di munizioni, sono in un rapporto di cinque a uno rispetto ai soldati di Kiev. E continuando così, potrebbero anche raddoppiare la loro superiorità. Ma va tenuto conto anche della crisi sociale: molti, come a Kharkiv, sono senza energia, e poi c’è la mobilitazione, l’arruolamento di altri soldati, che non è visto con grande favore dalla popolazione. Potrebbe provocare una crisi morale potenzialmente foriera di gravi ripercussioni.
Peskov dice che si potrebbe tornare a trattare partendo, come base, dall’accordo raggiunto a Istanbul nel marzo 2022, rifiutato dall’Ucraina su suggerimento del premier inglese Boris Johnson. Si può davvero ricominciare da lì?
Non so se l’Ucraina potrebbe accettare un’intesa del genere. Per gli USA sarebbe una sconfitta, perché si tornerebbe punto e a capo, in una situazione ancora peggiore di allora, dato che i russi nel frattempo hanno occupato altri territori. Credo che fino a quando non ci sarà il nuovo presidente negli Stati Uniti non cambierà niente. Anche Trump parla di un suo piano che prevede la cessione di Donbass e Crimea, ma l’establishment economico e militare è per il proseguimento della guerra, anzi per la vittoria nei confronti della Russia o per un conflitto cronico in Europa. Qualcosa si sta muovendo dal punto di vista delle trattative, ma considerando che sono passati più di due anni tutto procede molto lentamente. Intanto sul campo, anche se non ci sono grandissime penetrazioni, i russi stanno andando avanti, verso Chasiv Yar, ad esempio.
Torna d’attualità anche la conferenza di pace in Svizzera senza i russi: si può parlare di un incontro che punta alla fine della guerra se una delle due parti non c’è?
È una conferenza di guerra, non di pace: un consiglio di guerra che riunisce tutti quelli che sono contro la Russia. Un accordo da sottoporre ai russi lo dovrebbero preparare gli ucraini e comunque presupporrebbe la possibilità di sedersi a un tavolo per trattare riconoscendo l’avversario come interlocutore. Non lo possono fare: l’incriminazione di Putin è stato un passo deliberato per impedire ogni possibilità di dialogo. Avendo un mandato di cattura internazionale non può scendere a patti: se si mette a dialogare rischia l’arresto. L’Occidente non vuole il dialogo dall’inizio, lo ha fatto chiudendo tutte le porte: vuole che la guerra vada avanti, ma non sta andando come aveva pensato.
Sempre il comandante dell’esercito americano in Europa ha detto che Russia e USA dovrebbero ripristinare il manuale della guerra fredda. Siamo tornati indietro di oltre 30 anni?
È un’affermazione in un certo senso agghiacciante. Durante la guerra fredda ci siamo crogiolati credendo di essere al riparo da rischi perché sapevamo che le due potenze si parlavano e non si pestavano i piedi: c’erano delle procedure per prevenire un’escalation. Questo sistema è stato abbandonato quando l’URSS è scomparsa come superpotenza. Ma erano contatti che hanno impedito che scoppiasse un’altra guerra mondiale. Ora siamo nelle mani dei singoli stakeholders. Se l’Ucraina fa una mossa avventata USA e Russia non hanno gli strumenti per contenerne le conseguenze. Senza contatti fra americani e russi, se succedesse qualcosa fra Iran e Israele, dietro i quali ci sono, appunto, Mosca e Washington, si aprirebbero le porte per un’escalation in Medio Oriente.
Paradossalmente eravamo più sicuri durante la guerra fredda?
Sì. Il comandante delle forze americane in Europa ci propone un ritorno alla guerra fredda come male minore. Avevamo messo da parte tutto quello che riguardava questo periodo, come retaggio di un’epoca in cui i due blocchi non si parlavano, non facevano affari. Invece ci sta dicendo di tornare a una condizione che pensavamo di aver superato. Questo è allarmante. È come dire: gli ultimi trent’anni vengono cancellati, nella migliore delle ipotesi si torna al punto di prima, al 1988. Se non arriviamo addirittura a trasformare una guerra fredda in una guerra calda perché non ci sono gli strumenti per fermarla.
Una considerazione tanto più vera se si tiene conto che nello scenario mondiale c’è anche la guerra di Gaza con il rischio di un allargamento del conflitto all’Iran. Una situazione anche questa difficile da gestire senza una rete di sicurezza?
La Russia, che sostiene Assad in Siria, nel momento in cui ci fosse un grosso conflitto fra Iran (suo principale alleato nell’area) e Israele, cosa farebbe? Gli iraniani stanno rispondendo all’attacco di Damasco con una rappresaglia, ma ritengo che non vogliano allargare la guerra, perché vorrebbe dire farsi attaccare, oltre che da Israele, anche dagli USA. Temo che qualcuno cerchi un casus belli per ottenere una conflagrazione che collegherebbe la crisi mediorientale a quella ucraina, con conseguenze disastrose per noi e a vantaggio di Zelensky. Sarebbe come se diventasse un’unica guerra. Dovremo stare attenti, a questo punto, anche a quello che succederebbe in Europa.
(Paolo Rossetti)
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