Roberto Gualtieri, intervenendo nella trasmissione Agorà Estate in onda su Rai 3, ha chiarito che la riforma fiscale cui sta lavorando il Governo dovrà essere “autofinanziata” e non comportare quindi l’uso delle risorse che arriveranno dall’Europa col Recovery fund. Risorse che, come è stato chiarito da Paolo Gentiloni nell’audizione alle commissioni Bilancio e Politiche dell’Unione Europea di Camera e Senato, arriveranno solo nella prima metà del 2021. Dunque l’esecutivo sembra stia lavorando, da un lato, a una Legge di bilancio da 25 miliardi di euro incentrata su riduzione delle imposte e assegno unico familiare, e, dall’altro, al Recovery plan con cui cercare di avere il prima possibile, l’anno prossimo, le risorse necessarie a finanziare gli investimenti. Per Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, si tratta di una strategia che non aiuta il Paese e che “fa emergere anche dei timori sull’implementazione del Recovery fund. Perché un conto è se si potesse già fare affidamento sulle risorse dell’Ue, come si potrebbe fare nel settore privato mettendole a garanzia, per far partire gli investimenti necessari. Invece mi sembra che si stia delineando un processo che potrebbe portare a un’interlocuzione anche lunga e con passaggi burocratici tra Governi nazionali e Commissione europea che di certo non aiutano. Senza dimenticare un fattore non irrilevante”.



Quale?

Fra non molto l’aumento dello stock di debito pubblico, non solo dell’Italia, comincerà a diventare un tema di dibattito. Pensi che in una pubblicazione dell’istituto di ricerca tedesco Zew si parla di acquisti sproporzionati di nostri titoli di stato da parte della Bce anche già prima della pandemia da Covid-19. Se già adesso si discute in questi termini del nostro debito, destinato a salire intorno al 160% del Pil, il processo legato al Recovery fund non inizia certo nel migliore dei modi.



Perché?

Perché bisognerebbe quanto meno distinguere, come ha detto Draghi, tra debito buono e debito cattivo. Portare avanti dei progetti di investimento pubblico, che sono indiscutibilmente un beneficio per il Paese e per l’Europa, significa parlare di debito buono. Dobbiamo essere in grado allora di poter spendere per queste voci. Sia per migliorare il tenore di vita del Paese, e di conseguenza guadagnare credibilità, sia per ridurre il rapporto debito/Pil. È difficile contestare che uno dei ruoli principali dello Stato è garantire il funzionamento del mercato. Oggi per poterlo fare e mettere le basi di una vera crescita occorre fare investimenti, con un ruolo preponderante del pubblico, come nel caso delle infrastrutture. In questo modo si fa girare l’economia del Paese.



A differenza di quanto avviene con sussidi, bonus e misure di sostegno.

I sussidi possono aiutare chi ha bassi redditi solo in una prima fase emergenziale, poi quel che occorre è il lavoro, che deriva da investimenti pubblici e privati. Tramite gli investimenti, l’occupazione instabile diventa stabile, il reddito instabile diventa stabile: in questo modo il Paese ha la possibilità di riprendere a respirare. Gli investimenti devono essere non solo sulle infrastrutture tradizionali, ma anche su quelle che consentono di accrescere la digitalizzazione del Paese, così da poter impattare positivamente anche sul mondo del lavoro. Occorre poi puntare sulla green economy, perché se abbiamo bisogno di intraprendere un sentiero diverso per la crescita, allora dobbiamo anche abbandonare alcune tecnologie. Stiamo parlando di investimenti che si completano in anni e per questo è urgente avviarli.

Professore, rispetto a quanto ha detto ho due osservazioni. La prima è che non conta tanto quel che scrive l’Istituto Zew sul debito pubblico italiano, ma la posizione della Commissione europea che ha sospeso il Patto di stabilità e crescita…

Quanto dice in linea di principio è giusto, ma nel momento in cui sembra già tornare a far capolino il refrain sul debito pubblico cumulato negli anni del secolo scorso dal nostro Paese, capisce bene che le premesse rispetto a quella che sarà la posizione di Bruxelles non sono certo favorevoli.

La seconda osservazione è che lei ha parlato della necessità di poter spendere risorse per gli investimenti. Significa allora che il Governo dovrebbe utilizzare i 25 miliardi della Legge di bilancio con questa finalità?

A parte l’assegno unico familiare, assolutamente sì. Certo, sappiamo tutti che la pressione fiscale nel nostro Paese è a livelli elevati, ma ci sono necessità urgenti. Ci siamo già dimenticati, alla vigilia di stagioni che riporteranno le piogge, del dissesto idrogeologico del Paese? Gli investimenti, poi, come ho spiegato prima, rimettono in moto l’economia. È importante cogliere questo aspetto, perché se continuiamo a pensare che la strada della ripresa passi dalla riduzione del cuneo fiscale ci stiamo sbagliando di grosso. C’è bisogno di innovazione e per farla occorrono soldi. O si spendono per ridurre tasse e cuneo fiscale o per questo tipo di investimenti.

(Lorenzo Torrisi)