Un telefonino gratis con connessione Internet per chi ha redditi inferiori a 20mila euro. Abbonamenti digitali a due quotidiani. Congedi supplementari per i giovani genitori. Esonero parziale dei contributi previdenziali per le partite Iva. Esenzione della prima rata Iva per le aziende turistiche. C’è di tutto e di più nell’emendamento alla manovra concordato nella maggioranza. Soldi a pioggia, mance, ma nulla di strutturale che consenta all’economia di riprendersi e crescere al ritmo che permetterebbe di restituire senza pensieri il mare di soldi che l’Europa ha promesso di versarci.
L’affanno del governo è tutto in questa miriade di elargizioni ed elemosine che non risolvono nulla e pare possano accontentare tutti. Fa titolo sui giornali la faccenda dello smartphone omaggio, certo. Poi si va ad approfondire e si scopre che è in comodato per un anno (dopo 12 mesi scatterà un canone?), che bisogna avere lo Spid e l’app Io per il controllo delle spese, e che il reddito va calcolato in base all’Isee. Uno specchietto per le allodole, insomma. Un’operazione mediatica di un presidente del Consiglio che ormai fissa gli orari delle conferenze stampa in base alle fasce serali d’ascolto televisivo.
Conte è messo in croce dai renziani e messo nel mirino dalle cancellerie europee, e così cerca di legittimarsi non più come avvocato del popolo, ma come tribuno della plebe. Il premier non eletto era in un primo tempo il grande mediatore tra forze apparentemente inconciliabili; poi ha tentato di accreditarsi come il punto di riferimento delle cancellerie europee; ora cerca di restare in sella lisciando il pelo delle categorie sociali messe in maggiore difficoltà dal freno alle attività commerciali imposto dal dilagare incontrollato della pandemia.
Il mare di elemosine è l’effetto di chi sente sul collo il fiato della crisi. Matteo Renzi non scherza quando parla di togliere il sostegno al governo: l’ex rottamatore rinvia a gennaio i tempi della verifica perché vuole appurare se nel frattempo si riesca a consolidare un’eventuale maggioranza alternativa che porti Mario Draghi a Palazzo Chigi e poi al Quirinale. Draghi è il nome che l’Europa vorrebbe per gestire i soldi del Recovery Plan, che non sono a fondo perduto ma prestiti da restituire, per i quali il governo non ha ancora uno straccio di proposta perché insabbiato nelle secche della task force che dovrebbe gestire i progetti di spesa.
Per Draghi, un anno da premier e poi il salto sul Colle. L’Europa sarebbe contenta, Renzi e il Pd resterebbero il perno della maggioranza e forse ne guadagnerebbe anche Matteo Salvini, se accettasse di partecipare all’operazione: il leader leghista contribuirebbe all’insediamento di un premier risanatore e poi all’elezione di un capo dello Stato che non potrebbe essergli ostile.
È un po’ quello che fece Silvio Berlusconi con Carlo Azeglio Ciampi nel 1999. Ciampi fu governatore della Banca d’Italia e poi ministro, premier e capo dello Stato eletto al primo scrutinio. E forse non è un caso che Draghi abbia un profilo molto simile a quello del suo maestro. Ciampi gestì la transizione verso l’euro, Draghi potrebbe essere chiamato a prendere in mano la gestione di una montagna di soldi in grado di cambiare volto al Paese. Conte sa che il rischio di perdere il posto è concreto e che la partita si decide nelle prossime due settimane. Non è più il tempo dei rinvii. Nell’attesa che il quadro si schiarisca, avanti con le elemosine che un minimo di consenso lo rosicchiano sempre.