Niente tregua fino a che non saranno liberati gli ostaggi, solo brevi pause umanitarie. E dopo la guerra sarà Israele a garantire la sicurezza di Gaza. Mentre gli Usa espongono il loro piano che vede l’ANP gestire la Striscia una volta neutralizzata Hamas, lo sguardo di Netanyahu si ferma sui problemi contingenti, sulla necessità, da parte israeliana, di portare a termine l’operazione di bonifica di Gaza, anche se il mondo continua a protestare per il disastro umanitario che sta comportando. Il Dipartimento di Stato americano, comunque, dice no alla rioccupazione di Gaza da parte israeliana e al trasferimento dei palestinesi. Ma l’intenzione di Israele potrebbe essere semplicemente di restare a Gaza in attesa di ottenere le garanzie necessarie per un passaggio di consegne all’Autorità nazionale palestinese.
La crisi del Medio Oriente, spiega Toni Capuozzo, giornalista e inviato di guerra, sta diventando sempre più globale, anche se all’apparenza rimane un conflitto regionale. Usa, ma anche Cina e Russia hanno i loro interessi da difendere. In questo contesto è probabile che le due grandi crisi del momento a livello geopolitico, quella dell’Ucraina e quella della Palestina, verranno decise secondo un unico disegno, che cercherà di mettersi alle spalle la guerra facendo uscire di scena Zelensky da una parte e Netanyahu dall’altra.
Alla fine, il problema dei palestinesi e della loro collocazione nell’area rimane sullo sfondo: ciò che importa ai grandi è piazzare le loro pedine e non perdere posizioni nello scontro fra Oriente e Occidente. Intorno alla battaglia di Gaza ruotano anche tante altre cose, dal boicottaggio turco dei prodotti israeliani agli attacchi sciiti nel Kurdistan iracheno alle basi Usa dove ci sono anche militari italiani. Ma la chiave per risolvere i problemi l’hanno in mano le grandi potenze e i loro alleati.
Netanyahu ha annunciato che Israele si occuperà della sicurezza di Gaza anche dopo la guerra. Una decisione che ostacola il piano Blinken?
Credo che il discorso di Netanyahu sia abbastanza realistico. Non avrebbe senso un passaggio di mano diretto dall’IDF all’ANP, è necessaria una fase intermedia, senza la quale l’Autorità nazionale palestinese risulterebbe ancora più screditata di quanto non è già. Avrebbero fissato le elezioni per il mese di maggio, credo che sia improponibile che si tengano, però potrebbe essere quella l’occasione per pensare a un passaggio di consegne. Immaginerei degli osservatori internazionali per vigilare sull’andamento delle elezioni, augurandosi che non vinca Hamas.
Lascerebbero presentare Hamas al voto?
Non lo so. Mohamed Dahlan, che è uno dei candidati seri a succedere ad Abu Mazen, originario proprio della Striscia di Gaza, dice che Hamas va battuta politicamente. Non si vuole correre lo stesso pericolo di chi in Italia ha pensato di vincere sul piano giudiziario e non, appunto, su quello politico.
Anche per quanto riguarda la tregua, Netanyahu non sembra disposto a fare concessioni: prima di concederla, secondo lui, bisognerebbe almeno liberare gli ostaggi. Al massimo si possono concedere brevi pause nei combattimenti. Su questo punto non cederà?
Netanyahu non mi piace, ma su questo è difficile dargli torto. Ogni giorno in più permette ad Hamas di tirare il fiato e di tenere accesa l’idea della resistenza palestinese agli occhi della piazza araba. Prima si chiude, anche per quanto riguarda le vittime civili, meglio è per Israele. Ogni tregua è un bastone fra le ruote dei carri armati israeliani.
Resta però la contraddizione tra le parole degli Usa che dicono di fare attenzione ai civili e che annunciano il loro piano per il futuro di Gaza e della Palestina, e le azioni di Netanyahu che sembrano sorde a questi richiami. Al di là dell’apparenza Usa e Israele sono su due piani diversi?
Gli Usa fanno queste dichiarazioni per salvare la faccia. Anche al G7 penso che parleranno di possibili pause umanitarie. Anche perché concedere una tregua vuol dire riconoscere l’avversario come belligerante. E qui non ci sono due Stati che si confrontano. Si sta giocando una partita grossa: la Russia e la Cina hanno tutto da guadagnare dal fatto che salti quella ragnatela costruita dagli accordi di Abramo e poi con il negoziato tra Arabia Saudita e Israele.
Domenica, intanto, il presidente iraniano Ebrahim Raisi parteciperà a un vertice sulla guerra a Riyad voluto dall’Organizzazione della Cooperazione islamica. È la prima visita in Arabia da quando sono stati ristabiliti i rapporti con l’Iran con la mediazione della Cina: quanto pesano questi due Paesi in questo contesto?
Intorno a Gaza si sta giocando una grande partita a scacchi che ha a che vedere con la ricerca di nuovi equilibri mondiali tra l’Occidente e i Brics: è già una guerra globale sotto le fattezze di un conflitto regionale. È un gran frullato. Difficile che Iran e Arabia Saudita diventino alleati. A Riyad sono state perdonate molte cose, a partire dall’omicidio Khashoggi, ma l’Arabia ha bisogno di farsi corteggiare, gioca su più tavoli per alzare il prezzo.
Sembra quasi che dei palestinesi non interessi molto a nessuno: questo conflitto è solo un gioco per riposizionarsi dal punto di vista geopolitico?
I palestinesi sono sempre stati usati. L’Egitto non apre le frontiere a Rafah. Dalla Giordania arrivano parole di fuoco, anche perché la maggioranza della popolazione è palestinese, ma si guarda bene dall’intervenire; l’Arabia Saudita si appresta ad ospitare il sistema antimissile americano. È sempre stato così. Quando in seguito all’invasione del Libano da parte di Israele la dirigenza palestinese ha preso la nave per andare a Tunisi, in Libano festeggiavano. I palestinesi sono ingombranti, anche dal punto di vista demografico: erano un milione ai tempi della prima Nakba, sono diventati 6 milioni. La loro presenza in Libano è sempre stata tormentata. Il più grande massacro di palestinesi fu da parte della legione araba, dei beduini di re Hussein, nel famoso settembre nero.
Ora gli israeliani vorranno portare a termine la loro operazione a Gaza, dopo di che si comincerà a parlare di futuro. In che termini?
Ci si muoverà in parallelo tra l’Ucraina e il Medio Oriente, accantonando con l’onore delle armi Zelensky come colui che ha resistito ai russi e Netanyahu come la persona che ha ridotto in cenere Hamas. Non saranno loro i protagonisti dei negoziati. Tra Israele e Palestina la questione cruciale sarà quella dei coloni. In Cisgiordania non comanda Hamas, ma la situazione è molto tesa: non può esserci una soluzione negoziale se aumenta la presenza dei coloni. Ci avviamo verso una pax americana ma con il consenso-assenso della Cina e della Russia. Una piccola Yalta nella quale una parte significativa dell’Ucraina verrà ceduta alla Russia, in cui si andrà formando una entità palestinese che comincerà forse ad assumere le fattezze di uno Stato. Dopo di che resteranno dettagli decisivi da definire: la sorte del Donbass, di Mariupol, di Gerusalemme capitale.
Ucraina e Palestina, quindi, verranno messe nello stesso calderone?
Sì, nello stesso calderone preelettorale americano. Tutto può succedere ma i democratici non possono andare incontro alle elezioni con questa situazione: Blinken, in questo momento, sta lavorando per questo.
(Paolo Rossetti)
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