“Curiosità di fronte a un dibattito fondato sul nulla”. La sentenza del Colle è arrivata, ieri, attraverso un articolo di Marzio Breda sul Corriere scritto apposta per far tacere chi continua a strattonare Mattarella. Le tensioni politiche sono esplose ieri l’altro, quando, di fronte a un esecutivo visibilmente disorientato, si è cominciato a sussurrare di un Conte 3 oppure, perché no, di un governo di salute pubblica presieduto dal sempre evocato (invano) Mario Draghi. Una perdita di tempo: “Non c’è memoria di governi dimissionati dal Quirinale” dettano dall’ufficio di Mattarella.



Sabino Cassese, presidente emerito della Corte costituzionale, boccia un governo senza programma, “nato sulla base di molti equivoci e di parecchie ambiguità”. Il Sussidiario lo ha invitato a riflettere sulla necessità di ritornare nei binari della Costituzione, per mettere al riparo tutto il sistema politico e istituzionale (Quirinale compreso) dallo sbriciolamento del potere contiano. La via dovrebbe essere – dice Cassese – “la scelta di un altro esecutivo. Ma non credo che ci si arriverà. Quindi sarà un alto costo da pagare per gli italiani”.



Lo stato di emergenza consente poteri straordinari, ma l’impressione è che sul piano delle scelte e delle misure anti-Covid abbiamo a che fare con una confusione crescente: come si spiega?

Vi sono cause vicine e cause lontane. La prima è la labile interpretazione dei rapporti tra Stato e regioni. Si è preferito non scegliere una soluzione e adattare i rapporti alle circostanze, dominate dal fatto che 14 regioni sono governate dal centro-destra, che è all’opposizione del governo nazionale. Quindi, il tira e molla tra Stato e regioni sta al posto del dialogo governo-opposizioni in Parlamento.



Un esempio delle cause lontane?

Sta nell’assenza di un programma di governo, essendo l’attuale esecutivo nato sulla base di molti equivoci e di parecchie ambiguità: la guida affidata a una persona che aveva guidato un governo di impianto opposto, e che ora firma modifiche delle norme che aveva lui stesso firmato come presidente del precedente governo; e la composizione, costituita da due forze che prima si erano collocate su versanti opposti.

Lei in numerosi interventi ha argomentato che non c’era bisogno dello stato di emergenza per governare l’emergenza. Perché?

L’emergenza è qualcosa di imprevisto e di grave. Nel caso specifico, l’evento – la seconda ondata – era previsto. La protrazione dello stato di emergenza serve per saltare le procedure, e quindi è utile. Ma fa sorgere la domanda successiva.

Che sarebbe?

Perché non approvare un decreto legge o una legge che rende le procedure permanentemente più fluide, invece di dover sempre ricorrere all’emergenza, all’urgenza, alla straordinarietà per fare quello che sarebbe ordinario?

Che cosa rimprovera?

La mia critica riguarda l’assenza di prospettiva, di “visione”. Il ricorso a scorciatoie per abbreviare una strada che potrebbe esser resa permanentemente più breve.

Conte e Mattarella hanno rilasciato due dichiarazioni diverse ma forse a loro modo complementari. Conte, il 15 ottobre, ha detto che un eventuale nuovo lockdown sarebbe dipeso dagli italiani. Mattarella, il 26 ottobre, che è il virus “il responsabile delle restrizioni”.

In effetti si integrano. La pandemia è la causa ultima. Il modo per tenerne sotto controllo gli effetti dipende in larga misura da come ci comportiamo.

Il governo è oggetto di pressioni da parte delle stesse forze di maggioranza, in particolare il Pd. Si parla di un “Conte 3” o di un governo di unità con alla guida l’ex presidente della Bce Mario Draghi. È solo insofferenza politica o c’è un problema istituzionale più profondo?

La prima ondata ci ha colti impreparati, e ci si è stretti inevitabilmente intorno al governo, come accade nelle difficoltà improvvise. La seconda era prevista e quindi mostra le evidenti difficoltà del governo: impreparazione, incapacità di ascolto, attenzione esclusiva alla comunicazione in funzione del prestigio personale e della propria popolarità, difficoltà nel guidare gli apparati amministrativi, sapendone con accortezza ottenere migliori “performance”. Si tratta, quindi, di un’insoddisfazione istituzionale più profonda.

L’inefficacia dei Dpcm e le proteste delle categorie produttive, oltre al caos informativo, sembrano sgretolare il principio dell’effettività del potere del presidente del Consiglio. Ma se tale effettività viene meno, quali sono le conseguenze?

Dovrebbero essere la scelta di un altro esecutivo. Ma non credo che ci si arriverà. Quindi, sarà un alto costo da pagare per gli italiani. Basta considerare solo un aspetto: finora si sono spese somme solo per risarcimenti e ristori, invece di guardare al futuro e spendere per investimenti.

Dove sta la differenza?

Con i risarcimenti e i ristori si accolla un debito alle generazioni future per un beneficio a favore di quelle attuali, senza benefici per le generazioni future. Con investimenti si assicurerebbero, a spese delle generazioni future, benefici per le generazioni future, che avrebbero ospedali, migliori scuole, linee ferroviarie più efficienti, strade e ponti che non cadono, verde attrezzato.

A chi tocca ripristinare la normalità costituzionale? Al presidente della Repubblica? Come?

Dovrebbe esser una preoccupazione di tutto il sistema costituzionale. Ma la Corte costituzionale è guidata da presidenti mensili, il Csm è alla deriva, il Parlamento svuotato.

Basterebbe un nuovo governo con l’attuale maggioranza a sbloccare la situazione?

Non so risponderle. La situazione è di una tale precarietà che toccare qualunque punto potrebbe provocare una rovinosa caduta. Questo timore spinge tutti a conservare il governo com’è e dov’è.

Come valuta l’ipotesi di un tavolo comune maggioranza-opposizione per fronteggiare il Covid, oppure di un governo di unità nazionale?

In teoria, sarebbe la soluzione. Ma in pratica richiede persone ragionevoli, che non siano alla ricerca continua di risultati nei sondaggi e nelle elezioni.

A quali condizioni sarebbe possibile?

Le condizioni sarebbero nel programma. Ma c’è qualche forza politica che abbia un programma?

(Federico Ferraù)