Xi Jinping si presenterà al Congresso del Partito comunista cinese (Pcc), che si terrà dal 16 ottobre, in una posizione meno solida di quanto auspicava. Di fronte ai maggiorenti del partito Xi avrebbe voluto porre sul tavolo dei risultati che giustificassero la sua leadership.
L’obiettivo di assicurarsi un terzo mandato quinquennale, che non ha precedenti nella storia del partito, ha richiesto che lo status di Xi fosse assimilato a quello di Mao Zedong e Deng Xiaoping, incorporando nella Costituzione “i principali punti di vista teorici e i pensieri strategici” del suo pensiero politico. Inoltre, l’accentramento del potere, senza eguali nella storia del Pcc, e il mandato per governare a vita richiedevano il conseguimento degli obiettivi strategici che avrebbero permesso alla Cina di lanciare la sfida decisiva all’egemonia statunitense.
Ma i risultati promessi non sono stati raggiunti. La crisi del settore immobiliare e la contrazione del Pil, che secondo i ricercatori del Peterson Institute for International Economics (Piie) potrebbe crescere solo del 3%, cambiano le prospettive di crescita dell’economia cinese, che rimane avvinta nella trappola del reddito medio e che addirittura deve subire l’onta del sorpasso delle economie dei Paesi emergenti dell’Asia. Un risultato mai registrato negli ultimi trent’anni, che non a caso rappresentano il periodo che coincide con la crescita impetuosa della Cina.
Sul versante geopolitico la situazione non potrebbe essere più incerta. Il piano di costruire un ordine globale alternativo utilizzando come leva la Belt and Road Initiative (Bri), la rete di relazioni della Shanghai Cooperation Organisation (Sco) e dei Paesi Bric è stato messo in crisi dal fallimento ucraino di Putin. Ma soprattutto il progetto di dedollarizzazione sembra naufragare a fronte della svalutazione del 12% del renminbi e soprattutto del pericolo concreto di importare l’inflazione, secondo una dinamica che avevamo previsto un anno fa, quando descrivemmo il rischio che comporta per un’economia come quella cinese, che ha bisogno di acquistare materie prime, fare i conti con un dollaro sempre più forte.
Sono in tanti ad ascrivere queste difficoltà alla politica zero-Covid adottata dal governo cinese, che, però, più che la causa dei problemi in realtà ne sembra la conseguenza: la strategia, cioè, con cui si assicura attraverso un ferreo disciplinamento dei comportamenti la tenuta sociale del Paese e al contempo si contraggono i consumi contenendo l’inflazione. Un altro tassello della svolta autocratica attuata da Xi – che fatalmente lo ha portato a stringere un’alleanza personale con Putin – con cui è stata liquidata la stagione di riforme e aperture verso i mercati internazionali di Deng Xiaoping.
La politica economica adottata da Xi, fatta all’insegna della “prosperità comune” e della “prevenzione dell’espansione disordinata del capitale”, è stata giustificata dalla necessità di contenere l’espansione del settore creditizio, di frenare la sorprendente tendenza all’indebitamento dei consumatori cinesi e di regolamentare il mercato finanziario, ma in realtà puntava a rafforzare il capitalismo di Stato cinese, sempre più legato ai funzionari del Pcc, e a consolidare la sua giuda in senso tecnocratico.
Il XX Congresso del Pcc sarà il primo vero banco di prova per Xi, che seppur goda di un vasto consenso, deve assicurarsi che la leadership non verrà intaccata dai malumori interni al partito. Al netto di voci che parlano di epurazioni interne, che confermerebbero la volontà di Xi Jinping di assicurare la tenuta del suo potere personale, a essere in gioco è il modo con cui la Cina vuole compiere il suo “Risorgimento nazionale” in vista della fatidica data del 2049 e quindi del ricongiungimento con Taiwan.
Con il XX Congresso la Cina si trova a un bivio fra una strada che porta a un progressivo isolamento e a una leadership autocratica e un’altra che segna il ritorno della stagione dell’apertura e delle riforme. Dalla fisionomia che assumerà il Comitato permanente dell’ufficio politico del Partito comunista cinese sarà possibile capire i reali rapporti di forza interni al partito. Come ha spiegato recentemente Bloomberg, gli equilibri interni saranno chiari quando i componenti scelti del Comitato permanente supremo del Politburo saliranno sul palco dell’assemblea e in base al loro grado (ogni membro ha un grado che va da 1 a 9) si potrà capire quale sia la gerarchia interna del partito.
Indipendentemente dai bizantinismi del Pcc c’è il rischio concreto che Xi, il cui mandato non è in discussione, si possa trovare in minoranza all’interno del Comitato permanente del Politburo e che la filiera di politici che discende dall’amministrazione Hu Jintao-Wen Jiabao, e quindi dalla Lega della gioventù comunista cinese – rappresentata attualmente dal premier Li Keqiang e dal vicepremier Hu Chunhua – possa giocare un ruolo più importante.
Benché il ritorno della stagione delle aperture e delle riforme sia auspicabile per vedere la Cina protagonista positiva di una nuova fase di integrazione delle economie mondiali, va detto che essa appartiene a uno stadio della globalizzazione che la guerra in Ucraina sembra aver liquidato per sempre. Anche per questo motivo il trionfo personale di Xi Jinping che verrà celebrato con il XX Congresso si misurerà con la capacità del leader di mobilitare e compattare il Paese in vista delle sfide del futuro. Una fuga in avanti con cui proverà a far dimenticare i fallimenti recenti.
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