La Cina ha approvato la controversa riforma del sistema elettorale di Hong Kong, dando potere di veto a Pechino sulla scelta dei candidati allo scopo di assicurarsi che solo i candidati ritenuti idonei (i cosiddetti “patrioti”) vengano eletti. Secondo Massimo Introvigne, sociologo, fondatore e direttore del Cesnur e del sito Bitter Winter che documenta la repressione civile e religiosa in Cina, “era chiaro che dopo l’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale si sarebbe giunti a questo, trasformare cioè Hong Kong come una qualunque città cinese. Più preoccupante ancora è l’ormai instaurata censura su ogni attività sui media, sulle attività culturali, sui tribunali e sui libri scolastici”.



Con la nuova legge elettorale ritiene che ogni libertà di Hong Kong sia ormai compromessa?

È chiaro che sono cose che si potevano prevedere. Con l’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale si è innescata una meccanica che porta in tutti gli ambiti a trasformare Hong Kong in una città cinese come tutte le altre. Ci sono delle implementazioni settoriali in tema elettorale ma ancor più pericolosamente in tema di tribunali, garanzie per gli imputati che un tempo erano le vecchie garanzie inglesi che con il tempo stanno sparendo, censura sui media, censura delle esposizioni artistiche, censura sui libri scolastici. Diciamo che sono conseguenze che vengono giù a cascata da quella legge: una volta approvata era chiaro che Pechino avrebbe conseguentemente considerato Hong Kong in nulla diversa dalla stessa Pechino.



Il vecchio codice un  paese e due sistemi è dunque finito?

Al di là di alcuni aspetti meramente simbolici dietro non c’è rimasto più nulla.

La leader di Hong Kong, Carrie Lam, ha difeso la riforma, affermando che chiunque soddisfi il criterio di patriota, anche se esponente dell’opposizione, potrà candidarsi alle elezioni. Che valore concreto ha?

È pura propaganda: l’opposizione patriottica esiste anche in Cina, esiste addirittura in Corea del Nord dove c’è un partito peraltro di carattere religioso che piglia lo 0,5% alle elezioni. Anche in Cina esiste il Fronte unito; esso è stato anzi rilanciato da Xi e ci sono componenti minoritarie che sono eredi dei vecchi partiti come quello dei contadini. Sono formazioni che non contano nulla e se mai venisse loro voglia di contare qualcosa, basti sapere che i dirigenti sono nominati dal governo. È una pseudo-opposizione fantoccio creata ad arte per dire che esiste una parvenza di democrazia.



A proposito delle sanzioni da parte americana e dell’Unione Europea sui diritti umani della popolazione uiguri, che valore reale hanno?

La politica occidentale è in una fase di schermaglie. Bene le sanzioni ma in gran parte sono simboliche, colpiscono individui singoli. Le sanzioni vere sono quelle contro la Russia, che danneggiano in modo reale il sistema economico. Quella più efficace che gli americani sono riusciti a immaginare nei confronti della Cina è la non vendita di alcuni componenti essenziali a Huawei, che in effetti ha chiuso il trimestre in perdita, una cosa che per loro non è consueta. Sembra che adesso la Gran Bretagna si sia messa a vendere componenti a Huawei purché non si impegnino a uso militare, ma una volta vendute è difficile controllare l’uso che ne facciano.

Il segretario di Stato americano si è espresso molto duramente contro la repressione dei diritti umani in Cina, che ne pensa?

Il discorso di Blinken è stato molto preoccupante, era preannunciato da qualche settimana. Indicando l’amministrazione Trump l’ha accusata per l’eccessivo peso dato alla libertà religiosa invece che all’esistenza o meno di legislazioni sui matrimoni omosessuali o sull’aborto.

Perché era atteso?

Era atteso in modo particolare come cambiale da pagare agli elettori di Biden più di sinistra. Questo discorso è un atto dovuto, non sappiamo se sarà seguito da pressioni ad esempio su paesi come la Polonia che limita l’aborto e vieta i matrimoni omosessuali. Penso che nei confronti della Cina continuerà una pressione significativa perché si intrecciano questioni strategiche più che per la difesa dei diritti umani.

Ad esempio?

C’è molta preoccupazione per l’attivismo militare cinese nel Pacifico, le scaramucce intorno a isole filippine occupate dai cinesi che in realtà sono degli atolli disabitati ma più importanti di quello che sembrano perché allarmano il Giappone e gli stessi Stati Uniti. Poi c’è sempre la concorrenza economica che la Cina fa agli Usa sui mercati internazionali, le chiese protestanti perseguitate, essendo in genere conservatrici, non interessano a Biden, quello che Biden ha chiamato confronti di sistemi sui diritti umani sono una parte di un conflitto militare ed economico sempre in corso.

(Paolo Vites) 

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