La Cina è una grande potenza economica, con il secondo Pil nominale del mondo nel 2024. Ciò nonostante dal duemila in poi diversi analisti occidentali hanno cominciato ad aspettarsi la decadenza della Cina. Per la verità, fino ad ora nessuna delle previsioni si è avverata fino in fondo. D’altronde i Paesi autoritari come la Cina, grazie ai loro sistemi di controllo e alla propaganda di regime, riescono a nascondere bene i loro problemi fino all’ultimo minuto e, comunque, le crisi possono arrivare anche a fari spenti. Secondo la banca HSBC (dati novembre 2024) la Cina nel triennio 2023-2026 dovrebbe crescere in media del 3,9%, meno della metà dell’India e delle Filippine (8,7%); molto sotto la media asiatica (6%).
Il 10 dicembre tuttavia Xi Jinping ha ricevuto diversi clientes, rappresentanti delle organizzazioni finanziarie internazionali, tra cui quelli del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale e della Nuova Banca di Sviluppo (NDB Brics) ed ha illustrato loro i risultati della terza plenaria del Comitato centrale del PCC. Senza dubbio una enfatica rassicurazione sullo stato dell’economia e della potenza cinese, nonostante le incertezze che si prospettano per il 2025. Il regime dispiega tutta la narrazione cinese sulla volontà di apertura dei mercati per creare nuove opportunità di sviluppo per tutti e liberare il Sud del mondo dal giogo dei Paesi ricchi. Sui giornali rimbalzano notizie con messaggi rassicuranti sulla crescita. Ed anche la possibilità di guerre tariffarie con la nuova amministrazione USA viene esorcizzata.
Ma ad analizzare il non detto, tutte le analisi, tutte le affermazioni sul primato cinese sono declinate al futuro, tipo “se saremo bravi… raggiungeremo”, un po’ come le brigate motorizzabili dell’esercito fascista. Di fatto il rallentamento del dragone è certificato. Pandemia a parte, il Pil cinese dal 2010 in poi, è cresciuto sempre meno. Dal 2014 in poi la crescita più lenta è stata normalizzata e Xi Jinping, anche in questi giorni, non parla di crescita rapida, ma di qualità. Per il 2024 le misure di stimolo alla crescita del governo non hanno sortito i risultati sperati, creando ulteriori timori.
Inoltre la terza plenaria, di solito dedicata alla pianificazione economica, arriva con nove mesi di ritardo, non accadeva dagli anni 90, non ci sono notizie per la quarta e anche questo all’esterno preoccupa. La domanda interna cinese è debole e l’economia sta creando un forte surplus di produzione che deve andare ai mercati esteri; questo potrebbe portare contrasti non solo con gli USA ma anche col resto del mondo. Soprattutto nel Sud del mondo, dove la Cina cerca alleati. Pechino, anziché le aperture che cerca, potrebbe trovare barriere commerciali sempre più alte che frenerebbero le esportazioni, vera leva economica cinese, visto l’indebitamento e i bassi consumi. Ed ecco apparire ancora lo spettro della guerra dei dazi con Trump.
Si dirà: bene, ma cosa è cambiato veramente dal 2000 ad oggi tanto da far pensare a uno stop della corsa di Pechino? Il problema è la demografia. Nel 1976 Mao disse a Kissinger di poter regalare almeno 10 milioni di donne perché erano troppe e facevano troppi figli. Ora la situazione è rovesciata. La Cina sta invecchiando rapidamente. Dal 1980 al 2020 la popolazione cinese è invecchiata in media di 18 anni e l’età media è circa raddoppiata. Nel 2022 i morti in Cina sono stati circa un milione in più dei nuovi nati. Nel 2035, 400 milioni di cinesi, un terzo della popolazione, avranno più di 60 anni. Tutti problemi che non affliggono gli USA, sempre ringiovaniti, rinvigoriti e inferociti dalla continua assimilazione di immigrati. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), dal 2008 al 2018 i salari reali in Cina sono più che raddoppiati, mentre nelle economie occidentali stagnavano; anzi, nel Sud Europa si contraevano. Senza considerare la trappola del reddito medio; i popoli in via di sviluppo, infatti, quando raggiungono redditi a circa metà strada rispetto a quelli dei Paesi sviluppati, cessano di accontentarsi del solo progresso materiale. Lavoro, ricchezza, sicurezza, istruzione e sanità non bastano più. Si comincia a pensare all’aria che si respira ed all’acqua che si beve. Si cominciano a cercare i diritti. La nuova Cina imperiale di Xi Jinping rischia di diventare troppo vecchia prima di diventare egemone, se non si evolve da fabbrica del mondo a mercato del mondo.
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