Sono giorni particolarmente importanti per la Cina, che si trova impegnata ad affrontare sfide decisive per il suo futuro. La complessa transizione da economia Export-lead a Paese a reddito alto capace di raggiungere la superiorità tecnologica è fortemente condizionata dall’incertezza sistemica di questa complessa fase di competizione fra potenze. I recenti dati dell’Ufficio nazionale di statistica sulla produzione industriale testimoniano un rallentamento, per il quarto mese di seguito, dell’attività manifattura cinese che con la crescita del 4,5% è lontana da quella programmata del 5%. Problemi che si aggiungono alla dinamica della domanda interna che, nonostante il taglio dei tassi d’interesse operati dalla Banca centrale cinese (PBOC), continua a languire, e al calo del rendimento dei titoli di Stato a lungo temine, che si sono attestati sui minimi storici. Sono criticità che palesano i limiti strutturali dell’economia cinese: nonostante gli stimoli messi in campo, essa non riesce ad essere trainata dalla domanda interna, mentre all’orizzonte inizia a fare capolino il rischio del calo degli investimenti. Un fenomeno già visibile nel mercato immobiliare e che se dovesse estendersi al resto dell’economia, complice le difficoltà delle banche locali, avrebbe effetti decisamente preoccupanti.
Gli unici dati positivi provengono dalle esportazioni, che hanno registrato nel mese di agosto un considerevole aumento dell’8,7%, a dimostrazione che a discapito della volontà del governo l’economia cinese rimane sostanzialmente Export-lead. La sua trasformazione strutturale in un’economia caratterizzata da investimenti in settori ad alta produttività e infrastrutture tecnologiche si è andata ad arenare nelle sacche di un mercato domestico depresso e nella difficolta di raggiungere il technological breakthrough nei settori strategici per la competizione del futuro.
Ri-orientare l’economia in senso domestico, raggiungere l’autonomia tecnologica e assicurarsi la superiorità nei settori strategici non è solo un’esigenza di tipo economico, ma risponde a esigenze di natura geo-economica. Raggiungere questi obiettivi vorrebbe dire mettersi a riparo dalle conseguenze delle guerre commerciali e dall’instabilità del sistema finanziario. Ciò implica una politica monetaria che renda più appetibili i buoni del tesoro sul lungo periodo – con buona pace dei risparmiatori, che hanno acquistato quelli a breve scadenza – e investimenti finalizzati al rafforzamento delle relazioni commerciali con i promettenti mercati del “Global South”. Un cambiamento reso sempre più necessario anche a fronte dei nuovi dazi americani a piattaforme di commercio digitale come Temu e Shein, che negli ultimi anni hanno acquisito una quota sempre più grande delle esportazioni cinesi.
Purtroppo, tuttavia, per il governo cinese raggiungere nuovi mercati di sbocco non vuol dire poter utilizzare nuove vie commerciali e il Mar Cinese Meridionale non è mai stato pericoloso come in questo periodo. Le tensioni con le Filippine per gli atolli di Second Thomas Shoal prima e Sabina Shoal dopo, dimostrano che la Cina ha assunto una postura sempre più assertiva e non sembra intenzionata a rinunciare al controllo della maggior parte delle Isole Spratly. Il modo con cui Pechino tratta il dossier filippino non è dissimile da quello di Taiwan, infatti entrambi i casi vengono visti come questioni legate alla sovranità territoriale.
È facile prevedere che per quanto riguarda gli atolli delle Spratly il governo cinese non farà nulla per evitare una escalation con le Filippine, perché ritiene di importanza vitale il controllo delle vie marittime del Mar di Cina Meridionale e, al contempo, intende mandare un chiaro segnale a Taiwan, che rivendica anch’essa i due atolli contesi. Mentre la Cina cerca di legittimarsi come interlocutore dialogante che può contribuire a far finire la guerra in Ucraina, non intende fare un passo indietro nel Mar Cinese Meridionale. Proiettare all’esterno le difficoltà interne è una strategia antica, ma in tempi di incertezza finanziaria e di guerre commerciali può rappresentare per il governo cinese una tentazione a cui è difficile resistere, soprattutto quando in gioco c’è la creazione di uno spazio economico che dovrebbe assicurare a Pechino il controllo della quota più consistente del commercio globale.
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