Il piano per far diventare l’economia cinese la prima al mondo in dieci anni lo ha spiegato a Newsweek l’ambasciatore negli USA Xie Feng. Una sorta di interpretazione autentica di quanto è stato deciso dal plenum del Partito Comunista Cinese, che si è riunito per analizzare le prospettive dell’economia del Paese, alle prese, per stessa ammissione delle autorità di Pechino, con i “dolori di crescita” legati ai consumi interni e alla crisi immobiliare.



La soluzione messa in atto da Xi Jinping e compagni, spiega Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, è quella di tassare i supercapitalisti per redistribuire meglio le ricchezze alla gente, togliendo soldi dalle tasche di quella classe di ricchi che è più critica nei confronti del regime: l’alleanza con la Russia ha attirato sugli operatori cinesi le sanzioni occidentali, in particolare degli USA, e questo rappresenta un danno per i loro affari.



L’ambasciatore cinese negli USA dice che Xi Jinping vuole puntare sulle riforme e sull’apertura del Paese. Cosa significa?

Reform and opening up era il motto di Deng Xiaoping, che nella periodizzazione della storia cinese rappresenta il periodo che succede alla rivoluzione e precede la rejuvenation di Xi Jinping. Si potrebbe aggiungere anche un’altra parola: reformer. Tra i tanti titoli attribuiti a Xi, quello più citato nei documenti del plenum del Partito Comunista è, infatti, quello di riformatore. C’è un chiaro tentativo di presentarlo come la nuova incarnazione di Deng, mentre prima era considerato il continuatore di Mao, l’uomo del marxismo puro e duro.



Che cosa ha deciso alla fine l’ultimo plenum parlando di economia?

L’unica cosa concreta è l’aumento delle tasse. Nell’intervista l’ambasciatore, segnando in realtà una differenza con gli anni di Deng, dice che “i cinesi non vogliono diventare più ricchi ma vogliono una migliore distribuzione della ricchezza”. Significa tagliare le unghie ai supercapitalisti che sono già stati colpiti in passato perché sospettati di essere una classe critica rispetto alla politica di Xi Jinping.

A causa delle dinamiche del settore immobiliare, gli enti locali hanno accumulato un forte debito. Per rientrare si concede loro di aumentare le tasse?

Siccome l’economia non cresce, non c’è ricchezza sufficiente da distribuire a tutti, quindi si cerca di trovarla togliendo quattrini ai ricchi. Si usa il fisco per dare più soldi ai poveri.

È anche un modo per tenere sotto controllo i supercapitalisti che potrebbero acquisire troppo potere?

Su questo c’era già stata una stretta con la politica della sobrietà. I supercapitalisti, anche di altissimo livello, sono critici con Xi, e in particolare con la sua politica estera, perché l’allineamento con i russi porta a sanzioni che li danneggiano.

Una delle accuse ai vertici cinesi è di avere ristretto lo spazio dell’economia di mercato reintroducendo un controllo pubblico. Si cercherà di trovare un equilibrio fra questi due punti?

La risposta è che il governo cinese non ce l’ha con il mercato, ma appunto con pochi supercapitalisti, che saranno quelli cui farà pagare il conto. Una qualche “economia socialista di mercato” continuerà, se venisse totalmente rovesciato il paradigma la situazione peggiorerebbe. C’è, però, un problema di relazioni internazionali della Cina. Almeno con questa amministrazione USA la politica estera e l’economia sono strettamente legate: le sanzioni e il decoupling vengono dal sostegno cinese alla Russia e dalle minacce su Taiwan, ma anche dalle richieste sui diritti umani avanzate dagli USA.

Le riforme di Xi comprendono anche il rilancio dell’industria cinese in termini di alta tecnologia e innovazione in campi come l’intelligenza artificiale, il settore aerospaziale, la biomedicina. Qui la Cina procede con i suoi programmi?

La Cina è sempre stata attenta allo sviluppo tecnologico. Non tutte le ciambelle, tuttavia, sono riuscite con il buco: in alcuni settori, nonostante l’abbondanza di materie prime, è indietro, come per i semiconduttori rispetto a Taiwan. Suona un po’ ironico, invece, il discorso sull’AI nei giorni in cui le borse crollano perché hanno paura che sia una bolla.

Il Paese ha uno sfruttamento del territorio che sarebbe inferiore alla media di altre nazioni, potrebbe voler dire che si costruirà di più spingendo ancora sul settore immobiliare?

Costruire si può, il problema è vendere. Anche se, in realtà, si affitta per 99 anni. Il punto è trovare qualcuno che vuole gli appartamenti e sia in grado di pagarli ai prezzi determinati dalle politiche del governo. Non si vendono perché sono troppo cari, perché l’economia è in recessione oppure per un eccesso di offerta. Resta il fatto dell’impoverimento dei cinesi, salvo la fascia più alta, ma questo secondo Xi verrà sistemato con la politica di redistribuzione.

Si parla anche di una nuova urbanizzazione con lo spostamento delle persone dalle aree rurali alle città. Che progetti sono in cantiere al momento?

Ci sono grandi progetti come quello di costruire una seconda capitale, Xiong’an, in cui andrebbero tutti gli uffici amministrativi e non politici, il che creerebbe un boom di persone che ci devono abitare. A Pechino rimarrebbero i ministeri politici come Difesa, Interni, Esteri. La capitale non sarebbe lontanissima da quella attuale: un centinaio di chilometri. Il gruppo Alibaba progetta già di spostarsi lì. Un’operazione secondo alcuni critici un po’ megalomane, ma che certamente risponde alla crisi immobiliare. C’è anche il rumor, di cui Bitter Winter ha dato notizia, della possibilità di realizzare una terza capitale.

Che cosa non va nella politica cinese ora?

Ci viene proposta una narrativa secondo cui l’economia cinese ha problemi che possono essere risolti con ricette economiche, anche se derivano dalle scelte della dirigenza. E non si prende in considerazione il fatto che se si vogliono migliorare le relazioni con i partner forti, bisogna tenere conto dei diritti umani. Gli USA pongono questa condizione per migliorare i rapporti. Il nostro sito ha criticato la Meloni dopo il suo viaggio in Cina, perché speravamo che almeno non ufficialmente ponesse il tema dei diritti umani, ma pare non l’abbia fatto. Europei e americani, comunque – e qui ci siamo complimentati con Meloni perché ha parlato chiaro – condizionano i rapporti con la Cina anche alla sua posizione nei confronti della Russia.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI