A un mese dalla preghiera di Papa Francesco nella piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia, ieri è stato Sergio Mattarella a officiare il rito solitario dell’Italia laica: è cambiata la “location”, l’altare della Patria anziché il Vaticano, e la condizione meteorologica, un sole splendente invece del diluvio. Ma soprattutto il presidente è rimasto muto, imbavagliato da una mascherina extralarge che quasi gli copriva gli occhi, mentre nel vuoto di Roma un trombettiere intonava le note del Silenzio.



È per non guastare questo clima, e per non fare ombra a Mattarella, che ieri Giuseppe Conte è rimasto zitto. Il premier aveva già pronto l’ennesimo discorso rassicurante per il popolo, ma ci ha ripensato: non ha fatto la conferenza stampa, in compenso ha deciso di parlare oggi a Repubblica, spargendo le ennesime rassicurazioni a raffica su scuole, mascherine, prestiti. Conte sente che il Paese non ne può più, che la crisi morde e bisogna ripartire. In realtà, passi in avanti concreti non se ne fanno. Il premier è stretto tra le richieste del mondo reale, la prudenza dei mille comitati tecnici di cui si è circondato nel timore di compiere qualche passo falso, e un dato di fatto ineludibile: i soldi che ancora non ci sono.



Le miliardate di cui si parla – ultima la manovra monstre prevista dal Def da 150 miliardi – sono ancora virtuali. Lo sanno bene i piccoli imprenditori che vanno agli sportelli delle banche e scoprono che i tassi praticati sono da strozzo: ben oltre il 4% per un prestito di 50mila euro. Il governo aveva parlato di interessi vicini allo zero, invece no, il credito ha un costo elevato. Segno che le banche non si fidano delle garanzie offerte dallo Stato. Ciononostante, sono quasi 1,3 milioni le domande relative alla moratoria sui prestiti e oltre 20mila le richieste di nuovi finanziamenti bancari: il che la dice lunga sul disperato bisogno delle aziende di avere liquidità a disposizione.



L’incaglio su cui sembra essersi arenato stavolta Conte non è però tutto finanziario. La fase 2 non è fatta solo di soldi ma di rimodulare le limitazioni alle libertà personali. Mascherine, distanze, riaperture, mobilità, trasporti: si tratta di girare la chiave e riaccendere il motore dell’Italia. Vittorio Colao doveva essere il supertecnico in grado di mettere in moto questi ingranaggi, ma il manager è andato in urto con Conte. Le armi di Colao sono spuntate, i pareri del suo comitato puramente consultivi, e chi contava su una svolta impressa dalla capacità reattiva di un capoazienda di lungo corso, ora è disilluso dall’ennesimo capitolo in cui la burocrazia e le gelosie del potere frenano tutto.

Tra immobilismo e tasche vuote, Conte continua a muoversi come se attorno a lui non aleggiasse un’aria di crisi. È vero che il Pd freme e che il M5s rischia di implodere dopo l’ennesima giravolta di Luigi Di Maio che di fatto ha dato via libera al famigerato Mes, visto dai grillini “duri e puri” quasi peggio che dai leghisti di Salvini. Ma il presidente del Consiglio continua a godere dell’ombrello protettivo aperto su di lui dal Quirinale. E una stampella di emergenza si profila da un altro grande vecchio della politica italiana, cioè Berlusconi. Conte nega, ma suona come una conferma. L’ex premier freme per ritornare in campo nell’unico ruolo che può ancora svolgere, cioè quello che ebbe il suo amico Craxi al tempo del pentapartito: l’ago della bilancia. Pochi parlamentari ma decisivi. La mano azzurra è tesa verso un governo di larghe intese o di unità nazionale, come dimostrano il crescente distacco da Salvini e Meloni. Così, forte del lodo Sergio-Silvio, Conte può continuare a tirare a campare.

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