E all’improvviso per Mario Draghi la prospettiva di passare da Palazzo Chigi al Quirinale si allontana. Il fatto nuovo lo porta Matteo Salvini, che va a ingrossare le fila di quanti sono convinti che il premier debba continuare il suo lavoro al governo. “Draghi non può abbandonare il lavoro in corso”, ha scandito il leader della Lega, aggiungendo che il suo partito è intenzionato a rimanere al governo per contribuire al superamento dell’emergenza pandemia ed economica, ma non con qualsiasi presidente del Consiglio.
Vien da chiedersi cosa si nasconda dietro questo cambio netto di strategia, dopo avere spinto, direttamente e per interposta persona (Giorgetti) per il trasloco dell’ex numero uno della Banca centrale europea al Colle più alto della politica italiana. Non ci sono certezze, ma dietro questa svolta potrebbe nascondersi l’intenzione di contrastare i discorsi che vengon fatti a sinistra, e che segnano una distanza siderale fra i due schieramenti. In un Pd che tiene ostinatamente le carte coperte circolano le voci più disparate. Fra le tante spicca quella che intravede la possibilità di una nuova maggioranza di tipo Ursula, per un governo politico che, guidato da uno a scelta fra Gentiloni, Franceschini e Di Maio, traghetti il paese a fine legislatura, sbarcando i leghisti, ma tenendo ben saldi gli azzurri nella maggioranza. Ovviamente con Draghi al Colle.
Salvini, in altre parole, insistendo per la permanenza dell’attuale premier al suo posto, sembra aver l’intenzione di esorcizzare il rischio di una crisi di governo, che sarebbe inevitabile, in caso di elezione di Draghi al Quirinale. Senza l’apertura di una crisi formale il fantasma della “maggioranza Ursula” faticherebbe a materializzarsi. E chi dovesse innescarla ne pagherebbe un pesante prezzo politico, regalando alla Lega il ruolo della vittima spedita all’opposizione. Ideale per recuperare consensi. Del resto, era stato proprio Draghi nella conferenza stampa di fine anno a dirsi indisponibile per maggioranze differenti dall’attuale.
Ma ha detto altro Salvini, nella dichiarazione che segna la domenica politica: ha detto che lavora per una candidatura di centrodestra, senza fare il nome di Berlusconi. La freddezza della Lega e di Fratelli d’Italia nei confronti del Cavaliere ormai è evidente a tutti, e le sue velleità quirinalizie costituiscono l’ostacolo più grande al raggiungimento di un’intesa ampia. Nonostante l’endorsement entusiasta di Antonio Lopez, segretario del Ppe (di cui Forza Italia fa parte), Berlusconi non si sente certo del sostegno degli alleati. Li vede in imbarazzo, nonostante si senta sicuro di raggranellare i voti mancanti per arrivare alla quota di elezione a partire dal quarto scrutinio. Per Salvini e Meloni sarebbe molto più facile proporre al centrosinistra una rosa di nomi (ovviamente condivisa da Berlusconi): a quel punto Letta e soci farebbero fatica a bocciarli tutti. Si immagini, solo per ipotesi, una terna composta da Maria Elisabetta Alberti Casellati, Letizia Moratti e Marcello Pera.
La settimana che si apre oggi sarà quella del posizionamento degli schieramenti: vertici dei leader del centrosinistra e del centrodestra, oltre alla direzione del Pd giovedì. Sono passaggi necessari per calare le carte sul tavolo, presumibilmente verso fine settimana. Ma le parole più attese sono quelle che Mario Draghi potrebbe pronunciare già oggi pomeriggio nella conferenza stampa in cui illustrerà l’ultimo decreto anti-Covid, il terzo in pochi giorni. La recrudescenza della pandemia fornisce ulteriori argomenti a chi propugna la sua permanenza alla guida del governo. Nei giorni scorsi Renzi su questo ha espresso parole lucide: chi vuole Draghi al Quirinale, deve spiegare come costruire la maggioranza del dopo. Inevitabile che i giornalisti chiedano un parere al diretto interessato: per il premier sarà l’occasione per puntualizzare la propria posizione, dopo che le sue parole alla conferenza stampa di fine anno sono state lette, a torto o a ragione poco importa, come un’autocandidatura. La corsa al Quirinale, forse mai così complicata, ripartirà proprio dalle parole di Draghi e dalle sue intenzioni per il proprio impegno futuro, quello del “nonno al servizio delle istituzioni”.
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