“Per la prima volta Draghi ha parlato del Quirinale e del suo futuro con chiarezza”, dice Stefano Folli, editorialista di Repubblica. È avvenuto durante la tradizionale conferenza stampa di fine anno, nella quale il presidente del Consiglio ha fatto un bilancio dell’azione di governo. Sono due i messaggi di Draghi, secondo Folli: l’irrilevanza del suo “destino personale”, come ha detto lui stesso, insieme all’ammissione di essere a disposizione delle istituzioni (di fatto un’autocandidatura alla presidenza della Repubblica). E la necessità di una maggioranza politica ampia, come quella che ha sostenuto il suo governo. Il risultato finale, però, potrebbe anche essere fuori dagli schemi.
Folli, cosa pensa del quadro delineato da Draghi in conferenza stampa?
Ha descritto un periodo positivo per l’attività di governo e non c’è dubbio che sia così. Soprattutto per quanto riguarda il Pnrr. Adesso l’Italia è pronta a ricevere i finanziamenti e a non sprecarli.
Però il prezzo dell’energia continua a salire e molte imprese rischiano di chiudere; l’inflazione aumenta; le catene di fornitura globali soffrono la guerra commerciale tra Usa e Cina. Il +6% di Pil vantato dal governo è fragilissimo.
Draghi ha fatto un quadro realistico di ciò che fatto il governo da febbraio a oggi. Non ha nascosto i problemi e sul 2022 si è mostrato molto preoccupato. Rispetto alla bolletta energetica siamo disarmati e la crisi non era prevedibile in queste dimensioni.
E per quanto riguarda la gestione della pandemia?
È un capitolo sul quale il governo mostra di essere in difficoltà, però non mi pare che gli altri paesi siano in condizioni migliori di noi, basti pensare a Germania e Regno Unito. E poi quello che è successo in autunno non era prevedibile.
“I miei destini personali non contano assolutamente niente (…) sono un uomo, se volete un nonno, al servizio delle istituzioni”. Qual è il messaggio politico?
Per la prima volta Draghi ha parlato del Quirinale e del suo futuro con chiarezza. Sono a disposizione, questo è il messaggio. Se si creano le condizioni per la sua ascesa al Quirinale, Draghi è lieto di andarci.
Sull’ipotesi di proseguimento della legislatura, l’importante – ha detto – “è che il governo sia sostenuto da una maggioranza come quella che ha sostenuto questo governo, la più ampia possibile”.
Dicendo così, Draghi ha affermato che quello attuale è l’unico equilibrio possibile in questa fase. Mattarella ha creato una larga coalizione con al vertice una personalità che ha ottenuto una rinnovata credibilità dell’Italia in Europa e non solo. È il motivo per cui questa maggioranza continua ad essere importante ed è l’unica che può esprimere un presidente della Repubblica di tutti.
Che cosa ne consegue, all’atto dell’elezione del successore di Mattarella?
Non può esserci un capo dello Stato eletto da una parte contro l’altra: o meglio, è certamente possibile, ma è uno scenario che porterebbe alla caduta del governo.
E poi?
Draghi andrebbe volentieri al Quirinale votato da questa maggioranza. Ciò che invece Draghi non ha detto, ma che potremmo dedurre dal suo discorso, è che non sarebbe disponibile ad essere eletto da una maggioranza striminzita e da un parlamento spaccato. Non solo.
Ci dica.
È probabile che Draghi ritenga, se eletto presidente della Repubblica, di poter mantenere questa maggioranza fino al 2023. Se è abbastanza solida da eleggere il capo dello Stato, questo il concetto, lo è altrettanto per sostenere il governo.
Lei che ne pensa?
Temo che sia un’aspettativa troppo ottimistica. Il governo ha tenuto perché c’erano Mattarella al Quirinale e Draghi al governo. Se togliamo Mattarella secondo me l’equilibrio non regge. Potrebbe reggere se ci fosse un accordo tra i partiti, che però al momento non si vede.
Draghi ha anche detto che il governo ha creato le condizioni per eseguire il Pnrr “indipendentemente da chi ci sarà”. I partiti lo accetteranno?
Draghi ha guidato il governo di fatto come commissario politico di un paese in grave crisi e di una politica molto debole, fatta di partiti che si sfasciano e non controllano gli eletti. Nel 2022 il Pnrr dovrebbe produrre risultati concreti, ma perché questo avvenga sarebbe meglio votare nel 2023. Per arrivarci occorre una cornice solida, che adesso manca.
In Europa si ragiona su come cambiare il patto di stabilità. Lo stesso Draghi ha detto di essere favorevole. Meglio averlo al Colle o al governo?
Sono trattative che complicate, da seguire con estrema attenzione e si riesce a farlo bene solo stando al governo. Non basta uno sguardo da lontano.
Ma se Draghi è al Colle, occorre qualcuno di sua fiducia alla guida dell’esecutivo. Con i problemi che sappiamo di tenuta della maggioranza. Non ne usciamo.
L’alternativa che potrebbe convincere Draghi a restare a palazzo Chigi è un presidente della Repubblica che lui possa stimare come Mattarella. Draghi non lo ha detto, ma potremmo dedurlo dalle sue condizioni: irrilevanza del suo “destino personale” e maggioranza ampia, come quella che ha sostenuto lui.
In ogni caso, sul cammino di Draghi verso il Quirinale c’è un ostacolo non indifferente che si chiama Berlusconi.
Berlusconi ci spera e ci prova, ma non credo che potrà essere eletto. In ogni caso, le ambizioni di Berlusconi fanno sì che l’operazione di convergenza su Draghi parta tra mille difficoltà.
Qualcuno ha un piano B?
Potrebbe averlo lo stesso Berlusconi: risultare condizionante nella scelta del capo dello Stato. Proponendo un presidente che possa muoversi nel solco di Mattarella e rappresentare la stessa possibilità di coesione nazionale che ha realizzato Mattarella. In questo, Berlusconi sarebbe d’accordo con Draghi.
Su queste pagine abbiamo ipotizzato che Berlusconi possa dire sì ad un profilo istituzionale come quello di Giuliano Amato, da lui già candidato nel 2015.
È possibile, forse è anche probabile. Quando si eleggerà il presidente della Repubblica, Amato sarà presidente della Consulta. Anche questo è un elemento da considerare.
(Federico Ferraù)
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