“Renzi sta facendo precipitare la situazione”, confida al Sussidiario Calogero Mannino, democristiano di lungo corso, più volte ministro. L’ex premier ieri ha chiuso la Leopolda facendo chiaramente capire che il voto anticipato, per lui, è un’ipotesi concreta. Ma così aggrava la situazione, secondo Mannino, che si astiene (per ora) dal toto-Colle, ma mette nero su bianco sei elementi del quadro politico che i partiti non sembrano voler vedere. E il prezzo da pagare potrebbe essere altissimo.



Ha sentito Renzi? Ha detto che i principali leader hanno intenzione di votare nel ’22. Vuol dire eleggere un presidente della Repubblica disponibile a sciogliere le camere. 

Sul rinnovo del capo dello Stato vedo una gran confusione. A me sembra che si trascurino alcuni elementi che condizionano il quadro.

Qual è la sua previsione?



È presto per questa domanda. Non intendo fare un toto-Quirinale, glielo dico subito.

Da dove vuole cominciare?

Primo punto: nessuno dei due schieramenti ha i voti sufficienti per procedere dopo la terza votazione (dalla quarta votazione basta la maggioranza assoluta: 505, ndr).

Eppure il centrodestra può contare su 451 voti, esclusi al momento i centristi; Iv ne ha 43; Pd-M5s ne hanno 419. Berlusconi può farcela, o con i voti centristi, o con Renzi, o con entrambi.

No. Berlusconi perde tempo. Il fatto che si schieri con il reddito di cittadinanza vuol dire che è disposto a tutto pur di raccattare fuoriusciti. Le dirò di più: i popolari tedeschi gli hanno dato corda, ma si sono resi conto che la sua candidatura non regge. Nemmeno Renzi intende perdere tempo con Berlusconi, perché ha un disperato bisogno di concludere politicamente. Voterà il candidato del Pd, che sarà Gentiloni.



Allora serve un’intesa tra le forze politiche che al momento appare impossibile.

Punto due: non è possibile cercare l’intesa nell’ambito dell’attuale maggioranza di governo. Salvini non può rompere l’alleanza con la Meloni per eleggere il presidente della Repubblica. Corollario: coinvolgere in questo accordo la Meloni significa andare oltre la maggioranza che sostiene il governo.

Come se ne esce?

Ragionevolmente – punto tre – dovrebbero mettersi attorno al tavolo tutti i gruppi e le formazioni parlamentari per cercare un accordo.

Ma lei stesso lo ha escluso un attimo fa.

Invece è possibile, a una condizione che non c’è ma che si può costruire.

Quale?

Quarto punto: a questo accordo è pregiudiziale il superamento di ogni candidatura di parte. Il centrodestra non voterà un candidato del centrosinistra, ben sapendo che dal 1992 tutti i presidenti della Repubblica venuti dal Pd o riconducibili alla sinistra, come Scalfaro, si sono mantenuti in sintonia politica con la loro provenienza. Anzi, qualche volta è potuto sembrare che il presidente andasse oltre la propria simpatia, facendo scelte orientate politicamente. Allo stesso modo, il Pd e i suoi alleati non voteranno mai un candidato del centrodestra.

Ipotizziamo che si trovi un punto di incontro. Immagino che dovrebbe riguardare le garanzie da fornire agli elettori.

Esatto. Punto cinque: ogni candidato ipotizzato e proposto dovrebbe garantire due cose, la continuità e la stabilità del governo Draghi e la prosecuzione della legislatura fino al 2023.

Quanto alla prima?

È richiesta dalla gestione della pandemia, del Pnrr e del debito pubblico. Non sappiamo come si evolverà il Covid, né quale sarà l’orientamento del prossimo governo tedesco e dei paesi rigoristi.

E la seconda garanzia, la durata della legislatura fino a scadenza naturale?

Apre il nodo delle riforme. Un parlamento che va a scadenza normale non potrebbe non affrontare i problemi di armonizzazione del sistema istituzionale complessivo con la riduzione del numero dei parlamentari. Si porrebbe anche il problema della legge elettorale, che Salvini, Meloni e Berlusconi non vogliono toccare. E neppure Letta e il Pd.

Forse è per questo che in molti vorrebbero lasciare Draghi a Palazzo Chigi.

Sono dichiarazioni strumentali, che nascono non da una proposta politica, ma dalla sua assenza.

Allora l’accordo appare lontano.

Sesto punto: se non si trova un accordo generale su tutti questi problemi, l’elezione del presidente della Repubblica sarà un gioco non soltanto casuale, ma anche molto rischioso.

Che cosa intende?

Intendo dire che tutte le candidature annunciate saranno in ballo, ma nessuna avrà in partenza il minimo di consistenza per attraversare il Mar Rosso. E Mosè non si vede. A quel punto potrebbero sbucarne di nuove, con esiti imprevedibili.

Ha qualche altra osservazione?

Sì, l’ultima, per ora. Stante la confusione attuale e i segni di logoramento evidenti, possiamo assumere che al momento in cui inizieranno le votazioni il governo Draghi sarà già entrato in crisi.

Vuol dire che l’elezione del presidente della Repubblica è l’ultimo appiglio per salvare il sistema politico?

Serve un presidente con le qualità necessarie per sbrogliare la matassa aggroppata, per dirla con la Cenerentola di Rossini. L’ipotesi che prediligo è quella di un capo dello Stato che affronti i problemi che ho appena detto. Senza dimenticarne uno nuovo, clamoroso: i no vax. In ogni caso, respingo sempre l’ipotesi peggiore, in tutte le cose della vita. Ma vedo che la corsa alla scorciatoia delle elezioni anticipate è aperta.

(Federico Ferraù)

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