Pare che sul tavolo del vertice di centrodestra il nome di Enrico Michetti, tra i più accreditati come candidato a sindaco di Roma, si sia imposto anche grazie ai sondaggi di Tecnè, che lo danno favorito. Però ieri l’ennesimo vertice tra Salvini, Meloni e Tajani si è concluso con una nuova fumata nera: i leader prendono altro tempo.
Al momento il centrodestra deve ancora trovare un accordo su Roma, Milano e Napoli; a Torino, l’indipendente di centrodestra Damilano sfiderà il piddino Lo Russo. A Roma la Raggi si ricandida senza un accordo con il Pd, costretto a schierare Gualtieri, con la scomoda concorrenza di Calenda; a Napoli il Pd perde Manfredi, che rinuncia, e Fico, che sembra preferire la poltrona della Camera. A Milano, Sala, eletto con il Pd, si schiera con Europa Verde.
Ne abbiamo parlato con Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè, cominciando proprio da Michetti. Grado di conoscenza 54%, giudizi positivi 38%. Per capirci, i rispettivi valori di Raggi e Gualtieri sono 95% (conoscenza) e 24% (giudizi negativi) per la sindaca M5s uscente, 81% e 35% per l’ex ministro Pd.
Come si spiega la forza di Michetti?
È un profilo indipendente. Si giova del fatto che il centrodestra non ha ancora espresso un candidato unitario e fino a che questo non avviene – ma vale per ogni schieramento – gli elettori sono più propensi a votare il candidato del proprio partito. Questo dimostra la sua forza.
E rispetto al centrosinistra?
In questo momento Raggi, Gualtieri e Calenda possono più agevolmente correre la loro gara perché hanno già l’investitura. Si avvantaggiano della minore competitività del centrodestra dovuta al motivo che ho appena detto.
Tranne che per la Raggi (24%), i giudizi positivi si collocano tra il 29% di Matone, il 32% di Gasparri e Calenda, il 35% di Rampelli e Gualtieri, e appunto il 38% di Michetti. I giudizi negativi superano tutti il 60-65%. Come mai questa uniformità?
Perché concorrono nel giudizio anche gli elettori degli altri partiti, cioè abbiamo intercettato elettori che hanno espresso un giudizio anche sul candidato – o sui possibili candidati, nel caso del centrodestra – dell’altro schieramento.
Diceva che l’incertezza sull’ufficialità penalizza il centrodestra.
Esatto. Nel momento in cui il centrodestra farà la sua scelta, il candidato scelto avrà un’espansione maggiore di quanto hanno adesso i candidati di M5s e Pd.
Cosa glielo fa dire?
Se guardiamo il consenso politico dei partiti, in questo momento il centrodestra è in vantaggio, mentre il consenso di candidati come Gualtieri e Calenda supera abbondantemente quello dell’area di centrosinistra. Anche Raggi è sopra il consenso che prenderebbero i 5 Stelle se si votasse oggi.
La Raggi ha buone possibilità di ridiventare sindaco?
Difficile dirlo adesso. Certo non è una personalità che i romani devono scoprire: la conoscono già. L’essere sindaco la avvantaggia, ma è una variabile che sul lungo termine dipende molto da quello che faranno gli altri.
Albertini sarebbe stato il candidato giusto per sfidare Sala a Milano?
Sì. Milano non è Roma, ma gli italiani stanno riscoprendo il bipolarismo centrodestra-centrosinistra proprio nel momento in cui l’accordo Pd-M5s a Roma non è andato in porto. E questa polarizzazione si sente anche a Milano. Il centrosinistra ha il volto del Pd, ma il Pd in questa fase non è attrattivo.
Ci spieghi meglio.
Letta ha molto da lavorare. Non per colpa di Zingaretti, ma per un cambio di identità del Pd che risale alla segreteria di Renzi. Il Pd soffre questa situazione, e laddove il candidato è espressione del Pd o il Pd è la forza trainante della coalizione che sostiene il candidato, ha una minore capacità espansiva.
A vantaggio del centrodestra?
Il candidato di centrodestra ha più carte da giocare, soprattutto se si rivolge a quell’area di indecisi che magari provengono dal centrosinistra e sono meno propensi a votare il candidato Pd. Vale sia per Roma che per Milano.
A Roma questo cosa vuol dire?
Che Calenda ha più capacità espansiva di Gualtieri. Ancor maggiore questa capacità ce l’ha il candidato di centrodestra. Michetti ha evidenziato questa forza ancor prima di essere scelto dalla coalizione.
Non crede che il centrodestra sia penalizzato dall’essere in ritardo su Milano e Roma?
Sono molti anni che il centrodestra si mostra indeciso fino all’ultimo. Però alla fine il centrodestra si presenta unito, il centrosinistra no.
Sarebbe più forte a Roma Michetti o Bongiorno?
Difficile dirlo perché non sono lontanissimi l’uno dall’altra (Bongiorno: 34% di giudizi positivi e 66% negativi, con una conoscenza pari all’83% nel sondaggio Tecnè, ndr). Forse un candidato non di bandiera per i romani può essere più attrattivo, soprattutto se costruisce una comunicazione adeguata. Certo la Bongiorno è conosciuta. Michetti si presta ad essere oggetto di minori ostilità, il che è sicuramente un vantaggio.
A Napoli la candidatura Fico (40%) appare tramontata. L’indipendente di centrodestra Maresca, accreditato del 29%, è in partita oppure Napoli voterà comunque a sinistra?
In questo momento c’è una tale fluidità negli elettori che se un candidato fa una buona campagna, ha buone chance di giocarsi la partita pur partendo da posizioni che sembrano distanti. E Maresca ha un profilo alto.
Dunque la sfida è aperta?
Sì. Il consenso è un cocktail che dipende da tanti elementi, non solo: ogni ingrediente deve avere una dote in più. In ogni caso la sfida sarà più chiara quando tutti i candidati saranno in campo.
A Roma Bertolaso ha detto no. Ci sono voci di un suo impegno su Milano. Sarebbe la persona giusta?
Bertolaso lo conosciamo tutti, è una personalità di alto profilo, con una storia importante. E ha ottenuto un buon risultato con le vaccinazioni proprio in Lombardia. Ci può stare. Ma è molto “romano”, come profilo e personalità.
La dialettica tra periferie e centri urbani può essere decisiva? Nel caso, dove?
Lo sarà un po’ ovunque, anche se Roma ne rappresenta la metafora plasticamente più leggibile. Il centrosinistra è forte nei centri, dove non ci sono grandi contraddizioni legate al disagio sociale, economico o urbano e dove la volontà di cambiamento è meno radicale. Invece nelle aree del disagio il centrodestra e i 5 Stelle “stile 2018” sono stati più capaci di interpretarla.
(Federico Ferraù)
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