Ma ci andreste voi, in questo momento, a Palazzo Chigi al posto di Giuseppi? Davvero vi cambiereste con l’avvocato pugliese che si arrabatta dal secondo piano del nobile edificio di Piazza Colonna a impartire direttive su un futuro incognito, gestendo quel che resta dell’ex sistema sanitario più attrezzato d’Europa, sapientemente ridimensionato da dieci anni di tagli isterici alla spesa sanitaria nazionale dettati dallo spartito tedesco?



Anche no.

Altro dilemma. Siete il Presidente della Repubblica, persona perbene e onestamente calata nel suo ruolo istituzionale. Vi viene a trovare il leader – indiscusso, per consenso elettorale espresso e potenziale e per grinta psicofisica – del principale partito di opposizione, e voi siete il capo dello Stato. Vi dice: facciamo un governissimo, guidato da un supertecnico superpartes supercortemaggiore come Mario Draghi, e sostituiamolo all’attuale capo del Governo, andandoci a contare in Parlamento per trovare i voti che lo sostengano. Considerato che l’attuale Parlamento è come quella canzone di Aznavour che diceva: “I giochi dell’amore io li ho giocati tutti”; che il leader proponente tollera nel vertice del suo partito luogotenenti che predicano tuttora apertamente l’Italexit; e che nemmeno all’interno della stessa opposizione sono tutti d’accordo con lui; in queste condizioni accettereste il consiglio di fare il governissimo?



Anche no.

È questa la forza di Giuseppe Conte: la forza della debolezza altrui, peggiore della sua, e della difficoltà congiunturale, gravissima, senza precedenti. Senza precedenti sul piano sanitario, perché l’epidemia di coronavirus uccide relativamente poco ma potrebbe uccidere molto di più se la quantità dei contagi mandasse in tilt l’accettabile reattività del sistema sanitario. Senza precedenti sul piano economico.

Il guaio è che Conte non fa nemmeno – almeno per ora – quel che può fare un debole: chiedere aiuto. Non sul piano delle competenze: i virologi italiani sono tra i più bravi del mondo e la nostra sanità – nonostante i dieci anni di picconamento ispirati dalla soldataglia politica filotedesca guidata prima e ispirata poi dai suoi numerosi e prezzolati capetti à la Mario Monti – è ancora eccellente. No: l’aiuto da chiedere è economico. Non chiederlo, anzi: imporlo.



Oggi è fissato a Palazzo Chigi un vertice tra il governo e le parti sociali unite, sindacati dei lavoratori e sindacati padronali. L’economia è in ginocchio. Domanda interna ai minimi, crollo dei consumi elettrici, export dimezzato, boicottaggi commerciali in mezzo mondo, spontanei e speculativi. Serve una valanga di soldi subito per compensare l’evaporazione dei fatturati e lo spettrale profilarsi dei default, fallimenti in italiano: secondo una società di analisi e monitoraggio quotata come la Cerved, se continua così il 10% delle imprese chiudono i battenti. Ve l’immaginate l’Italia col 10% di disoccupazione in più?

E come stiamo rispondendo? Con 3,5 miliarducci di investimenti qua e là? A chiamarli palliativi, li si celebra. Non sono niente. I 13,5 milioni di lavoratori dipendenti in Italia guadagnano circa 324 miliardi netti all’anno e pagano contributi fiscali e previdenziali per 300. Immaginatevi se la nostra economia cancellasse il 10% di questi valori, sottraendoli alla domanda interna ed all’erario. Un milione e 350mila disoccupati in più, 70 miliardi tra domanda interna e gettito erariale complessivo cancellati. Un disastro epocale.

Servono soldi, subito. Che il debito salga dal 135% del Pil al 140 per tamponare una crisi che altrimenti lo farebbe comunque salire al 140 è più che dovuto: è sacrosanto. Basta dire all’Europa – se non ora, quando? – che non è questo il momento di badare ai saldi di Maastricht così cari alla Merkel. Perché o l’Europa stavolta capisce e cambia, oppure l’Europa muore.

La vera domanda è se Conte e il suo luogotenente europeo Gualtieri, un bravo avvocato e un burocrate comunitario, saranno capaci di tanto. Sul secondo, difficile scommettere. Sul primo, lasciamo spazio ancora per un poco alla speranza. Se non altro, porta in tasca un santino di Padre Pio

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