A dominare la scena politica sono ancora le polemiche sulla riforma della prescrizione, che sta mettendo sempre più gli uni contro gli altri il ministro Bonafede e i Cinquestelle, da una parte, e Renzi con Italia Viva dall’altra. In questa tenzone, al momento verbale, il Pd cerca di ritagliarsi lo spazio per trovare una mediazione, coinvolgendo in questo compito anche il premier Conte. Non solo: dopo aver evitato la spallata di Salvini con il successo alle regionali in Emilia-Romagna, il partito di Zingaretti ha provveduto a stilare un documento programmatico per rilanciare la “fase 2” della legislatura e per bocca del suo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha pure annunciato l’intenzione di portare a casa entro la fine dell’anno un’ambiziosa riforma del fisco. Riuscirà nel triplice intento? Il nodo della prescrizione può essere una trappola per il Conte 2? E il governo troverà finalmente una sua rotta o continuerà a traccheggiare nel suo immobilismo? Lo abbiamo chiesto a Franco Bechis, direttore de Il Tempo.
Il nodo della riforma della prescrizione verrà sciolto o porterà dritti dritti allo scontro frontale tra M5s e Italia Viva?
È un atto di realismo e un vantaggio per i partiti della maggioranza di governo trovare una quadra. Non è facile, però magari si può intervenire sulla proposta Orlando, allungandone i termini. E poi il quadro attuale, in sostanza, ci dice che Italia Viva non ha i numeri per essere politicamente determinante in nessuno dei due rami del Parlamento se non ha compatto con sé il fronte del centrodestra. Renzi ha troppi pochi voti per far cadere il governo: decidesse di farlo, arriverebbe subito il salvataggio con i voti dei piccoli gruppi centristi.
Perché?
Se si mette a rischio la vita stessa del governo, i 17 voti alternativi a Renzi arriverebbero comunque, non fosse che per una semplice questione di autoconservazione della legislatura. Tra poche settimane si terrà il referendum sul taglio dei parlamentari, che vista anche l’assenza del quorum, dovrebbe confermare la legge costituzionale. Salvo i leghisti e forse FdI, tutti gli altri sanno di avere davanti la prospettiva che l’attuale consistenza dei gruppi non tornerà più. La vita del governo come tale non verrà messa in discussione, potrebbe tutt’al più capitare l’incidente su un tema specifico per cui il governo va sotto.
Quali temi sono più a rischio?
Per esempio, le concessioni autostradali e i temi economici. Conte e Zingaretti lo sanno che possono andare incontro a una crisi di governo.
Ma Renzi non sta cercando proprio di incunearsi tra Conte e Zingaretti per evitarne la saldatura? Continuerà la sua opera di lento logoramento?
Renzi si trova in una situazione difficile: se non continua a muoversi, a far qualcosa, rischia di sparire. In più, se c’è un’area in progressivo affollamento è proprio quella in cui si è andata collocando Italia viva, tra Calenda, la Carfagna e altri piccoli leader in cerca di spazio. Renzi, è vero, sta un po’ più a sinistra, ma anche lì la concorrenza non manca, tanto più che si è aggiunto lo stesso M5s, o meglio quel che resta del M5s dopo le batoste elettorali. La componente di destra dei Cinquestelle, infatti, è già stata assorbita da Salvini.
E la saldatura tra il Pd di Zingaretti e Conte, di cui si vocifera sempre che è pronto a formare un suo partito?
Io non credo che Conte riesca a fare un suo partito. Potrebbe essere, a suo rischio e pericolo, uno dei leader possibili del M5s in formato ridotto e che adesso è senza guida. Ma se si mette in proprio, non vedo questa lunga fila di seguaci. Un conto è dire: appoggio il governo Conte; ben altro è dire: me ne vado dal M5s per fare il parlamentare di Conte. A mio avviso, poi, Conte deve ancora crescere parecchio come leadership. Quando è costretto a uscire dal seminato classico dei temi da ripetere a memoria o dalla polemica preparata, studiata e scritta contro Salvini, fatica ancora a reggere il confronto con i suoi interlocutori. È un principiante, non ha i tempi politici del leader, non gli viene naturale il dibattito politico fresco, mosso.
Tempo fa però Zingaretti lo aveva incensato come possibile leader dello schieramento progressista di sinistra…
Finché è lì a Palazzo Chigi è comodo averlo; il giorno in cui si dovesse sciogliere questa avventura, a nessuno del Pd non gliene importerebbe più niente di Conte.
Il Pd ha presentato il “Piano per l’Italia” con i punti programmatici per rilanciare la fase 2 del governo. Non le sembra che il partito di Zingaretti sia rimasto l’unico a credere davvero in questa verifica e in questo rilancio?
Non c’è una motivazione ideale che renda facile stilare un piano programmatico con questo governo. Quando è nato l’esecutivo giallo-verde, c’erano obiettivi comuni tra Salvini e Di Maio e persino tra i loro due elettorati, su molti temi assai contigui.
Oggi?
Pd e M5s sono un po’ più spenti. Il loro tema dominante mi pare sia solo quello di rimanere dove sono, un po’ fermi. Se si tocca qualcosa, si rischia di far cadere il castello. Oggi il governo non vuole rischiare troppo. Tant’è che – come si vede – vanno solo su temi generici. Basta, per esempio, mettere la parola green, e tutto va bene. Si guardano bene dal mettere mano a problemi maggiori, anche perché mancano le risorse.
Però il governo ha detto che vuol portare avanti la riforma del fisco, un tema delicato e complesso. Ce la faranno?
A parte il fatto che ci vorrebbe un governo capace di fare il grande salto svincolandosi dalla tagliola delle clausole di salvaguardia sull’Iva, che ci trasciniamo da anni e che ci impediscono di fare alcunché di serio se non alimentando il deficit, con 5 miliardi a disposizione che riforma del fisco potranno mai portare a casa? Spostare la tassazione dalle persone alle cose, idea che fu già di Tremonti, credo che sia la strada giusta, ma con 5 miliardi non si risolve granché. E poi è una strada che può percorrere solo un governo politicamente forte e sostenuto da un consenso popolare.
Non è così, anche dopo il voto in Emilia-Romagna?
Di fatto questo governo è diviso, incerto, ed è contro la maggioranza del paese. Lo stesso distacco in Emilia-Romagna lo sta a dimostrare: mettendo insieme Pd, Cinquestelle e liste civiche di varia natura tra centrosinistra e centrodestra sono saltati fuori cinque punti. In una Regione storicamente rossa come l’Emilia sono un po’ pochini.
La spallata di Salvini comunque non è arrivata e ora il centrodestra sembra non avere un piano B. È così?
La spallata l’ha tentata Salvini per motivi personali e perché sperava di aprire una ferita che gli consentisse di andare al voto adesso. Quel piano è fallito.
Come valuta allora il risultato del centrodestra in Emilia-Romagna?
È stato enorme, insperabile rispetto alla storia del voto in questa Regione, tanto più visto che si trattava di un voto amministrativo, ben diverso dalle politiche o dalle europee.
La coalizione, quindi, non ha problemi particolari?
No, ma deve capire che funziona solo insieme. Non si possono tarpare troppo le ali a Fratelli d’Italia e la stessa Forza Italia, pur ridotta in termini di consensi, può dare una mano a smussare certi spigoli. Nel centrodestra non reggere la formula dell’uomo solo al comando, perché la Lega da sola non è maggioranza nel paese. Salvini oggi deve pensare a formare una classe dirigente più inclusiva e attrattiva, non può continuare a fare la guerra al mondo intero, deve imparare a coltivare relazioni e alleanze a livello internazionale. Altrimenti a Salvini non gli faranno mai toccar palla.
(Marco Biscella)