“Non voglio morire grillino. Il Pd è diventato giustizialista. Sfiduciamo Bonafede se entro Pasqua non ritirano proposta sulla prescrizione. Conte vuole cacciarci? Deve riuscirci. Il Conte bis non cadrà, sono ottimista, spero prevalga il buonsenso”. Risposte di Matteo Renzi alle domande di Bruno Vespa.
Dopo che in mattinata Italia Viva aveva votato ancora con Forza Italia sulla prescrizione (suscitando la reazione stizzita del Pd: stop alle provocazioni, non tollereremo più a lungo), nell’intervista a Porta a porta Renzi, oltre a rilanciare l’apertura dei cantieri per scongiurare la recessione in arrivo, ha anche calato sul tavolo le sue carte per sparigliare la partita con il premier Conte: un patto di larghe intese per le riforme, modello Nazareno, con elezione diretta del capo del Governo, ribattezzato “sindaco d’Italia”. E per raggiungere l’obiettivo verrà lanciata una raccolta di firme.
Sono proposte inaccettabili per Conte, che avvicinano la rottura e una possibile crisi di governo? “Più che una rottura – osserva Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore – direi che la situazione di stallo e di confusione a cui siamo arrivati non potrà che sfociare in una resa dei conti, ormai ineludibile. Renzi chiede di tornare indietro sulla prescrizione, ma a questo punto come si può fare? L’intento di Renzi mi sembra chiaro: vuole cambiare il premier ma senza far cadere la maggioranza”.
Renzi però ripete che auspica un rilancio della legislatura. Ma anche Conte e il Pd vogliono la stessa cosa. Perché allora il governo giallo-rosso non ci riesce?
Il rilancio della legislatura è stato l’atto costitutivo del Conte 2: già quando si era presentato a inizio settembre aveva annunciato una grande maratona riformista. Poi, passata la bufera della complicata legge di Bilancio 2020, a fine anno si è fatta largo l’idea dell’Agenda 2023. Purtroppo, però, tutto si è fermato.
Perché?
Le difficoltà interne alla maggioranza, i veti incrociati, il palesarsi di emergenze a getto continuo hanno fatto sì che si siano aperti molti tavoli, ma nessuno è stato ancora chiuso.
Che cosa ne deduce?
Che questo metodo non funziona: è la lezione degli ultimi due mesi. Non c’è sintesi politica, non c’è identità, che pure era stata promessa all’insegna della discontinuità in senso riformista rispetto al governo giallo-verde. Il Conte 2 si è limitato a cercare di gestire, senza successo, una serie di problemi.
La mancanza di sintesi politica è addebitabile al premier stesso, che di mestiere fa l’avvocato e si è trovato catapultato all’improvviso nel mondo politico e nel ruolo di presidente del Consiglio, o alla crescente debolezza del M5s, il socio di maggioranza parlamentare che è in via di sfarinamento e di implosione?
È la somma di tre debolezze, che all’inizio del Conte 2 sembravano invece essere tre punti di forza.
Ci spieghi.
Innanzitutto, il premier stesso, già garante del governo a contratto tra M5s e Lega, e quindi considerato il mediatore per eccellenza, poi traghettato su un altro equilibrio politico, in cui si è impantanato. Poi il Pd, che dopo essersi rimangiato l’iniziale no secco a un governo con i Cinquestelle in questi mesi ha subìto per via di questa alleanza un lento logoramento, tanto che oggi non sappiamo quale sia la sua identità, come si è visto per esempio sulla questione della prescrizione, galleggiando tra i giustizialisti guidati dal M5s e il fronte garantista impersonato da Italia Viva. Infine, il M5s, che sta subendo una progressiva ed enorme caduta di consensi, anch’esso oggi alle prese con una crisi d’identità: è il Movimento di Grillo? O di Di Battista? Con la leadership di Di Maio erosa, tutti i grillini sono alla ricerca di un punto di equilibrio interno. E giocoforza il governo, fondato su queste tre ricerche di identità, fa fatica e non riesce a trovare una sintesi politica.
In caso di rottura con Italia Viva, si vocifera che Conte starebbe pensando a raccogliere l’appoggio dei cosiddetti “responsabili”, un drappello di 15 senatori esterni alla maggioranza. Come la vede?
Premesso che operazioni simili ne abbiamo già viste in passato, quella dei “responsabili” sarebbe clamorosa e non aiuterebbe lo stesso Conte. Non solo: una nuova maggioranza che si facesse forza del fatto che potrebbe contare sull’aiuto di un drappello di senatori del centrodestra per stare in piedi metterebbe in difficoltà lo stesso presidente della Repubblica, che non potrebbe certo avallare un trasformismo così eclatante, fra l’altro in una situazione di stallo completo. Pensiamo solo cosa significherebbe aggiungere ulteriore confusione ai tavoli su cui si trattano questioni importanti. Infine, gli stessi elettori non capirebbero, e chi oggi si rende responsabile di questa operazione, domani ne pagherà un prezzo molto alto.
Paolo Romani ha dichiarato che Berlusconi è pronto a regalare Forza Italia alla Lega. Che ne pensa?
Berlusconi ha cercato finora, e lo farà fino all’ultimo, di tenere in piedi un equilibrio nel centrodestra, appoggiando di fatto Salvini, ma con la garanzia di Forza Italia come sponda moderata, riformista ed europeista. Tutto questo, però, poggia sulla scommessa che Salvini decida di entrare come interlocutore nelle istituzioni e nel rapporto con l’Europa. Ma qui arrivano segnali contrastanti. Pochi giorni dopo l’intervento di Giorgetti, che ha fatto un chiaro endorsement a favore dell’Europa e di un cambio di alleanze in Europa, lo stesso Salvini è tornato a prospettare l’ipotesi di un’uscita dalla Ue come la Brexit. E questa è una difficoltà oggettiva per Berlusconi.
Intanto il tempo utile per dare la tanto attesa e sbandierata scossa stringe sempre di più. Il 29 marzo si voterà per il referendum sul taglio dei parlamentari, poi si entrerà nella campagna elettorale in vista delle elezioni in sei Regioni a fine maggio. È lo scenario che abbiamo davanti? Non rischia di accentuare immobilismo e divisioni?
Non c’è dubbio. E a complicare il quadro aggiungo un’altra scadenza delicata: il 10 aprile, quando dovrà essere presentato il Def, cioè la prima messa a punto delle misure per la manovra 2021. Se dovessimo arrivare al 10 aprile con tutti i tavoli aperti e con tutte le questioni irrisolte, prescrizione in testa, è evidente che senza una rotta corriamo il rischio di buttar via un altro anno. A mio avviso, non restano più margini se non per un chiarimento definitivo, altrimenti questa linea di galleggiamento al ribasso non può che perpetuare l’immobilismo in cui ci troviamo. Come mostra plasticamente il voto di fiducia ottenuto ieri dal Milleproroghe.
L’esito era scontato e il Milleproroghe come legge omnibus non è certo una novità di questo governo. Dove sta il problema?
Il Milleproroghe non è più solo un provvedimento abnorme, come è stato definito in Aula da esponenti della maggioranza, ma è ormai diventato di fatto una sorta di legge di Bilancio bis, in cui sono stati inseriti una serie di provvedimenti con l’obiettivo di compensare ciò che non si era riusciti a fare con la manovra di dicembre. Così la qualità della legislazione ne esce ulteriormente peggiorata.
Insomma, tempi stretti, problemi tanti, soluzioni abborracciate. In questo clima pesante e incerto, con un paese che cresce solo dello 0,2%, quanto si complica la partita del Def? Il governo rischia di partorire un Documento di economia e finanzia inadeguato?
Sì, rischiamo di arrivare a un Def di galleggiamento, che rimanda la partita al passaggio successivo, cioè alla Nota di aggiornamento del Def a fine settembre. Attenzione, però: già si stagliano all’orizzonte le clausole di salvaguardia del 2021, che ammontano a più di 20 miliardi. Un film che conosciamo a memoria.
Il ministro Gualtieri ha ricordato che il coronavirus può tagliare le stime del Pil. Ue, mercati e spread ci aspettano al varco?
Questo è un punto molto dolente. Il governo aveva previsto per quest’anno una crescita dello 0,6%, l’Upb, authority indipendente e prima interlocutrice con la Commissione Ue, ha indicato un +0,2% e la stessa Commissione von der Leyen un +0,3%. Ma c’è un ma.
Quale?
Tutti e tre non hanno ancora prezzato gli effetti del coronavirus. Quindi, senza arrivare alla previsione di Nomura che parla di un’Italia in recessione, se si parte già da un misero +0,2 o +0,3%, con l’impatto del coronavirus e il contesto ancora incerto del commercio internazionale, è facile prevedere che si va verso lo zero, oltre tutto in un paese come l’Italia che resta all’ultimo posto in Europa per tasso di crescita. E la mancata crescita, l’incapacità di trovare una rotta che strappi il paese alla stagnazione, è uno degli alert principali su cui ragionano le agenzie di rating.
Questo governo si è sempre vantato di poter contare sull’accondiscendenza della Ue e dei mercati. Un capitale che stiamo dilapidando?
Certo. A fronte di una situazione ancora stagnante e a un debito pubblico che non smette di lievitare, i margini della politica accomodante della Commissione Ue si riducono molto velocemente. Godiamo ancora dei benefici di un nuovo atteggiamento amichevole verso l’Europa, l’unica vera discontinuità con il governo giallo-verde, ma il credito si sta esaurendo. Occorrerebbe una politica di rilancio economico coerente, ma se persiste l’attuale immobilismo la reazione negativa dei mercati è sicura.
Conte ieri al Senato ha dichiarato che la proposta Michel sul nuovo bilancio Ue è inadeguata, non è scontato alcun compromesso a ogni costo. Ma un’Italia già sotto stretta sorveglianza sui conti pubblici e con un governo diviso può sostenere uno scontro con l’Europa?
Non possiamo aprire un fronte con la Ue facendo la voce grossa, è un atteggiamento che non premia. Dovremmo cercare invece faticosamente – anche se capisco che non paga in termini elettorali in un paese in campagna elettorale permanente – di puntare i piedi sulle scelte di politica economica che ci consentano di interloquire a testa alta con Francia e Germania, esprimendo una posizione credibile.
È il solito punto cruciale: la credibilità…
Il governo giallo-verde non c’era riuscito, e abbiamo visto i risultati con il rialzo dello spread. Il Conte 2 è nato promettendo una rotta sicura in politica economica, con la correzione degli errori fatti, vedi reddito di cittadinanza e quota 100, ma poi non si è registrata alcuna discontinuità. È un credito che non può durare all’infinito.
(Marco Biscella)