Negli ultimi due giorni, con un cambio di rotta improvviso, l’Europa ci segue. Francia, Germania e Inghilterra stanno proponendo ai loro cittadini una risposta al coronavirus più o meno simile al modello italiano in seguito a un’impennata dei contagi. La loro situazione attuale somiglia molto a quella in cui si trovava l’Italia un paio di settimane fa, quando, dopo aver superato i mille positivi il primo marzo, i numeri della pandemia di coronavirus iniziarono a correre. Anche Boris Johnson, dopo aver paventato di affrontare il virus senza cambiare le abitudini dei suoi cittadini, ha fatto dietrofront sconsigliando i pubblici assembramenti e paventando “misure draconiane”, fino ad arrivare a chiudere le scuole pubbliche a partire da venerdì, mentre i supermercati britannici hanno imposto misure per evitare che i cittadini ne finiscano le scorte. Secondo il Financial Times, Londra si fermerà del tutto entro il weekend. «Sono molto contento che gli altri Stati europei ci seguano. Possiamo sconfiggere il virus solo insieme: altrimenti gli altri torneranno a infettarci», ha spiegato al Sussidiario Ivan Cavicchi, docente di Sociologia delle organizzazioni sanitarie all’Università Tor Vergata di Roma ed esperto di politiche sanitarie. Ma c’è spazio per risposte condivise? Il premier Conte ha rivolto un appello ai leader europei per rispondere in modo unitario all’epidemia, ma per adesso ognuno fa per sé.



Come commenta la marcia indietro di Boris Johnson?

L’inversione di rotta di Johnson è importante perché anche se noi vincessimo questa battaglia, farlo da soli sarebbe una vittoria a metà. Bene che le misure italiane anti coronavirus diventino il modello di intervento in Francia e in Inghilterra: se gli altri non ci seguono, torneranno a infettarci. Anche se per ora, in Inghilterra, non ci sono divieti di circolazione e assembramento.



Le principali riviste scientifiche sono rimaste in silenzio sulla scelta di Johnson.

Ma gli scienziati sono stati unanimi nel considerarla un azzardo sconsiderato. Se non conosci il virus e sai solo che contagia in modo velocissimo, puoi solo provare a contenere il contagio per guadagnare tempo e riorganizzare la sanità. Non so come faranno in Inghilterra, in Italia per mettere sottosopra il sistema sanitario ci abbiamo messo due settimane, lottando continuamente contro il tempo. Sono preoccupato per loro, ma ancor di più per gli Usa.

Perché proprio gli Usa?

Lì vedo una sottovalutazione grave di ordine politico, e ho dubbi sulla risposta al virus del loro sistema assicurativo privato. Ma sia l’Inghilterra che gli Usa non hanno strutture adeguate per rispondere al contagio.



Eppure in Inghilterra ci sono più posti in terapia intensiva rispetto all’Italia.

Hanno più posti in terapia intensiva di noi, ma quella è rivolta al malato grave, riguarda solo il 10% dei ricoveri. Poi abbiamo il malato lieve e quello di media complessità: anche loro hanno bisogno di aree mediche protette, e gli ospedali andranno riorganizzati, così come abbiamo fatto noi. Spero non facciano il nostro errore: non preoccuparsi di proteggere gli operatori della sanità, finendo per trasformare i medici in vettori del virus, e gli ospedali in focolai del contagio.

Macron invece sembra aver seguito integralmente la nostra linea.

Sì, il presidente francese ha sentito i suoi esperti e dopo due ore è andato in tv a dire le stesse cose che Conte ha detto a noi. Anzi, sembra che i francesi siano pronti a scelte ancora più drastiche delle nostre, sequestrando cliniche private e nazionalizzando aziende chiave. Questo ci rincuora, perché vuol dire che il nostro vicino di casa ha compreso il problema.

Anche perché più un Paese è vicino, più rischia di infettarci.

Su questo voglio essere chiaro: la pandemia ha bisogno che tutti i Paesi vincano il contagio, altrimenti dovremo stare in quarantena per anni.

Sulla sperimentazione di vaccini contro il coronavirus le informazioni si accavallano ogni giorno. Può darci dei tempi precisi?

I tempi per creare un vaccino li conosciamo, sono tempi certi e sperimentati. Il suo sviluppo avviene in tre fasi. La prima sperimenta che il vaccino non sia nocivo, la seconda e la terza fase devono provare che funzioni. Servirà minimo un anno, ma forse risparmieremo del tempo grazie alla cooperazione internazionale. In meno di un anno è impossibile, nel frattempo proveremo a sperimentare con le cure per l’artrite, come stiamo facendo al momento a Napoli e allo Spallanzani. Ma solo con vaccino e terapia avremo chiuso la partita. Fino a quel momento, dovremo stare attenti.

Eppure molte persone credono ancora che, finiti questi 15 giorni di quarantena, torneremo a una vita normale.

Non è assolutamente possibile. Le stime che per ora possiamo fare sono di medio periodo, ma per tornare alla normalità serviranno mesi. Lentamente i governi concederanno qualcosa ai cittadini, ad esempio martedì in Cina hanno ricominciato a celebrare i matrimoni. Ma dovremo mantenere le cautele che abbiamo implementato. Mentre un grande mistero di questo virus non è ancora stato svelato: non sappiamo se di coronavirus è possibile reinfettarsi.

Intanto, dall’est Europa segnalano pochi casi di contagio. E in Russia siamo ancora a zero morti.

Non mi convince per niente. La logica mi spinge a pensare che sia impossibile una Russia a contagio zero. Anche i dati sull’Africa non mi tornano: metà del continente ha rapporti molto stretti con la Cina. Purtroppo molto dipende dalle informazioni che ci vengono date.

(Lucio Valentini)

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori