La polemica sulla marijuana tolta dalla manovra ha monopolizzato il dibattito sulla fiducia alla legge di bilancio. Come spesso accade, hanno preso il sopravvento questioni cariche di valori simbolici più che di zeri nella contabilità. Lo scontro sul fumo, tanto per capirci, è riuscito a fare passare sotto silenzio una serie di dati tutt’altro che trascurabili. Per esempio, le clausole di salvaguardia (aumento di Iva e accise) per il 2020 sono state sterilizzate; ma ne sono state imposte altre, pari a 20,1 miliardi di euro, per il 2021 e ulteriori 27,1 miliardi nel 2022. Tra un anno, insomma, saremo daccapo: il governo in carica farà passare come un trionfo politico sui cattivoni di Bruxelles il fatto di avere sterilizzato le clausole di salvaguardia, e al contempo ne farà inserire altre per il 2023.



Si è giunti a questo voto di fiducia in un clima di generale confusione, sia nella maggioranza sia all’opposizione. È il sintomo di una mancanza di strategia complessiva. Si naviga a vista, il che sorprende soprattutto se si guarda al campo che i sondaggi danno saldamente in testa nel Paese, anche se non al governo, cioè il centrodestra. Nella maggioranza regna il caos tra i grillini, con Luigi Di Maio che si circonda di “facilitatori” per fare non si capisce bene che cosa, se non per evidenziare che il leader politico a 5 Stelle annaspa come un bimbo incapace di nuotare buttato in mare.



Sull’altro campo, c’è da capire il senso della mossa salviniana di proporre un confronto bipartisan su 5 priorità del Paese. Politiche di crescita, giustizia, risparmio, infrastrutture e salute. Manca, incredibilmente, la questione migratoria e della sicurezza: forse i leghisti sono così pieni di sé stessi da pensare di averla già risolta una volta per tutte. Avanzata dal leader considerato più divisivo, la proposta contiene un vero paradosso e probabilmente si iscrive nella strategia di abbandonare i toni da barricata per fare apparire la Lega più conciliante. È una riconversione profonda del salvinismo che richiede tempo e spalle larghe.



L’aspetto più strano, tuttavia, non è che il Salvini diplomatico in giacca e cravatta abbia ormai preso il sopravvento sul Salvini ministro con la felpa. Sorprende invece che il leader del centrodestra si sia rivolto prima al Pd e al M5s che ai suoi cosiddetti alleati, cioè Fratelli d’Italia e Forza Italia. È stata Giorgia Meloni a sottolineare questa contraddizione e così a indebolire la proposta di Salvini. Al punto che il tavolo auspicato dall’ex ministro dell’Interno è andato deserto: nessuno ha raccolto il suo invito.

Davvero Salvini pensava di fare il king maker della situazione? Più probabile che, cercando di stanare alleati e avversari, il leghista abbia in realtà guadagnato tempo per sé. Egli deve capire che cosa fare dopo il risultato dell’Emilia-Romagna, sul quale ha puntato moltissimo ma il cui esito è sempre più incerto. La leghista Lucia Borgonzoni non sta facendo una campagna efficace mentre Stefano Bonaccini sembra consolidarsi come il candidato “meno peggio”.

E poi c’è il problema di dare sostanza a quei 5 punti su cui Salvini ha chiamato al confronto. Quali idee ha lui sul futuro del Paese, su crescita, giustizia, eccetera? Non è ancora ben chiaro. Al momento la strategia sembra quella di non dare troppo fastidio al guidatore, cioè al governo, per evitare il rischio di diventare guidatori senza avere la patente.