Tutti gli occhi della politica italiana sono puntati sull’election day del 20 settembre. Ma potrebbero essere puntati sulla data sbagliata. Certo sono in palio sette regioni, 962 comuni, due seggi senatoriali e il taglio di un terzo dei parlamentari. Sfida di estremo rilievo, eppure difficilmente potrà avere ripercussioni dirette sul governo, anche se ne potrebbe aggravare i problemi.



È il 14 settembre, a detta di molti, la data più insidiosa. Sulla riapertura delle scuole il governo si gioca tutto, la faccia e la credibilità. Eppure il caos di indicazioni e di idee con cui si sta arrivando a questa scadenza sembrano indicare un notevole grado di inconsapevolezza da parte dell’esecutivo.

Ragioniamo cifre alla mano (quelle dello scorso anno scolastico, ovviamente). Fra statali e paritarie gli alunni sono 8 milioni e 400mila, cui aggiungere le rispettive famiglie. 850mila gli insegnanti, oltre 8mila le istituzioni scolastiche, con la bellezza di 41mila sedi. Forse così l’impatto del sistema scuola diventa più evidente. L’unico a non avere cessato un solo momento di ricordarlo è il presidente Mattarella. “Il sistema Italia non può permettersi di dissipare altre energie, di rischiare di trascurare i talenti dei nostri ragazzi. La riapertura regolare delle scuole costituisce obiettivo primario”, aveva detto l’ultima volta a fine luglio, alla cerimonia del Ventaglio.



Poi incertezze e caos, le polemiche sui banchi, sulle mascherine, sulla misurazione delle temperature, sui trasporti verso le scuole, i professori timorosi di rientrare a scuola, il precariato che non sembra affatto destinato a scomparire, la confusione sulla data di inizio (ogni regione per sé) e, soprattutto, su cosa fare in caso di casi positivi a scuola, e magari di aumento generalizzato dei contagi. Il confronto con il resto d’Europa è sconfortante: dovunque la riapertura delle scuole è stata in cima alle preoccupazioni dei governi, senza esitazioni. Qui no, o almeno così è stato percepito.



Il ministro Azzolina, su cui pende la spada di Damocle di una mozione di sfiducia individuale annunciata da Salvini, sembra cullarsi nell’ingiustificata convinzione che tutto andrà bene. Certo, ce lo auguriamo tutti, ma non è affatto detto che sia così. Se qualcosa andasse storto, se le scuole fossero costrette a chiudere a ripetizione, la prima a pagarne il prezzo politico sarebbe lei, sinora difesa a spada tratta dal suo Movimento 5 Stelle. Da questo a diventare il nemico numero uno di studenti, famiglie e insegnanti (sindacati in testa), è un attimo.

La titolare dell’Istruzione potrebbe poi diventare del tutto indifendibile nel caso, poco probabile (e che certo non può essere auspicato da nessuno) ma che non si può del tutto escludere, della necessità di uno stop generalizzato alle attività didattiche e del conseguente ritorno all’insegnamento online. A quel punto la sua caduta non potrebbe rimanere isolata. Coinvolgerebbe non solo i tecnici, come il contestatissimo commissario Domenico Arcuri, ma anche il resto del governo a cominciare dalla sua guida, il premier Conte, come pure altri ministri in prima linea come Speranza, Salute, e Lamorgese, Interni.

Difficile che in un simile scenario un rimpasto di governo possa risultare sufficiente a placare gli animi, e a riportare la calma. Se la riapertura delle scuole si rivelasse un flop sarebbe a rischio la sopravvivenza stessa del governo e della maggioranza giallorossa.

L’ombra sullo sfondo rimane sempre quella di Mario Draghi, un altro che – sulla stessa lunghezza d’onda di Mattarella – ha detto chiaro che ai giovani bisogna dare più dei sussidi. Di fronte a una débâcle su un tema tanto delicato come l’istruzione nessuno, dal Quirinale, al Pd, potrebbe rimanere inerte. Il governo di emergenza e di larghe intese vagheggiato da più parti diventerebbe quasi una necessità, e Conte verrebbe in gran fretta archiviato.

Forse è per questa ragione che da più di una decina di giorni il premier è sparito dai radar, almeno quelli della comunicazione. Un fallimento sulla scuola sarebbe molto più grave di un 4-2 alle regionali. E Conte non può non saperlo.