È arduo immaginare come andrà a finire la crisi politica in cui in sostanza vive il Paese da diverse settimane. Domani, 20 agosto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte riferirà in Parlamento ed è verosimile immaginare che dopo le sue dimissioni (o il suo dimissionamento), il Presidente della Repubblica aprirà la consultazioni per sondare le forze politiche sulle varie alternative. Se ne presentano essenzialmente tre: a) scioglimento delle Camere e mantenimento dell’attuale Governo per l’ordinaria amministrazione e le elezioni; b) un nuovo Governo di scopo per predisporre (e approvare) la Legge di bilancio e per preparare le elezioni in primavera; c) un Governo frutto di una nuova maggioranza con un programma sino alla fine della legislatura.



È, tuttavia, certo che in questi giorni i due Matteo (Renzi e Salvini) hanno trovato numerosi collaboratori. Matteo vuol dire, secondo la Bibbia, “dono di Dio”, ma secondo la vulgata del Nord Italia “un po’ matto”. Il paradosso è che i collaboratori del primo sono essenzialmente una “quinta colonna” (al pari dei gruppi franchisti che durante la guerra di Spagna operavano segretamente nell’allora repubblicana Madrid) che lavora intensamente per il secondo.



Ipotesi ardita e azzardata? Lo spiegano il quadro economico e i precedenti tentativi di “grandi coalizioni” contro i tentativi del rischio (reale o fittizio) di “un uomo solo al comando”. Partiamo dal secondo punto. Nel 1996 venne formato L’Ulivo e nel 2006 l’Unione contro il percepito pericolo che la coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi preludesse a una svolta autoritaria. Nel giro di cinque anni, l’Ulivo dovette formare ben quattro differenti Governi a causa delle litigiosità interne e l’Unione si liquefece appena due anni dopo essersi insediata a palazzo Chigi.



Immaginiamo cosa avverrebbe oggi: il Partito democratico è un coacervo di partiti con differenti visioni del mondo, Liberi e Uguali e Sinistra e Libertà sono coesi ma piccoli. Il tentativo di ricostruire un assetto politico bipolare con un centrosinistra più e meno unito mal si concilia con + Europa, per anni di casa nel centrodestra, e soprattutto con il Movimento 5 Stelle, che specificatamente si considera, a ragione, come espressione di una politica in cui il bipolarismo è finito e i temi sono differenti da quelli del passato. In questo quadro è azzardato pensare a una coalizione di lunga durata, anche se il potere è un collante tale che il M5S sta rinunciando a uno dei cardini del suo Statuto (il limite di due mandati per le cariche elettive).

Qui entra in ballo, prepotentemente, l’economia. Il 12 agosto questa testata ha evidenziato come si sta avvicinando una recessione che da Ovest e da Est sta prendendo l’Europa a tenaglia colpendo in particolare i Paesi più fragili, di cui l’Italia è certamente uno. Il 14 agosto sono giunti dati molto importanti sulla frenata in Germania, Paese essenziale per l’export del “made in Italy”. Il 15 agosto – anche se nessuno se n’è accorto – è stato diramato un rapporto allarmante dell’Organizzazione mondiale del commercio. I nuvoloni sono tanti che il temporale è vicino.

I volenterosi collaboratori di Matteo (Renzi) stanno facendo sì che l’edizione rinnovata (e ristretta) dell’Ulivo e dell’Unione si trovino, con i parlamentari M5S che paiono temere le elezioni come la peste bubbonica, a gestire la Legge di bilancio per l’anno prossimo. Per quanto possano essere simpatici ad alcuni alti dirigenti dei servizi della Commissione europea, dovranno trovare l’equilibrio tra stabilizzazione di finanza pubblica e risposta alla recessione.

Su questa testata si è indicato come ciò sia possibile con una profonda ristrutturazione della spesa (pareggio di parte corrente e investimenti di qualità in quella in conto capitale). Il disegno di tale ristrutturazione, però, non è ancora iniziato. E se venisse fatta toccherebbe mostri sacri e clientes tanto del nuovo Ulivo/Unione, quanto del M5S da causare profonde fratture.

È verosimile che, per evitare di essere commissariato dalla Banca centrale europea, dalla Commissione europea e dal Fondo monetario internazionale, l’eventuale Governo sponsorizzato da un Matteo (Renzi) sia costretto ad aumenti delle imposte indirette (Iva) e dal posporre investimenti. Non si combatterebbe la recessione, ma si intonerebbe un coretto “a cappella” sul tema siamo arrivati troppo tardi. Proprio ciò che gli italiani non amano ascoltare.

Si aggraverebbero le ineguaglianze. Un lavoro appena pubblica di Emanuele Ciani e Roberto Torrini della Banca d’Italia (Occasional Paper n.492) documenta che si stanno acuendo le ineguaglianze all’interno di aree e non tra aree e che a livello nazionale il differenziale si ridurrebbe del 15% se la distribuzione delle ore di lavoro per famiglia nel Sud fosse simile a quella del Centro Nord. Quindi, misure come il reddito di cittadinanza, tanto care al M5S ma poco apprezzate dal Pd, se non valutate e ritarate potrebbero, nel contesto di una recessione, aggravare la diseguaglianze.

La pressione anche europea è tale, comunque, che il Governo promosso da Matteo (Renzi) riuscirebbe a togliere alcune castagne dal fuoco al futuro Governo di Matteo (Salvini) che verrebbe aiutato anche da una linea maggiormente “buonista” nei confronti dei migranti che sono (a torto o ragione) anatema per il suo elettorato.

Quindi, chi crede di lavorare per un Matteo, lavora sostanzialmente per l’altro. O fa il doppio gioco.