La distinzione fatta da Mario Draghi tra debito (pubblico) buono e cattivo evoca il dato più preoccupante di questa epoca: dai primi anni 90 le garanzie erogate dal modello di welfare italiano – e non solo – sono finanziate con debito e non con crescita. Questo è un segnale che la spesa pubblica non è produttiva. Ciò è confermato dalla distribuzione della ricchezza: da una tendenza verso il 70% di “ricchi” (cioè con capacità di risparmio) e il 30% di poveri, ma con la speranza di migliorare, si sta passando a una proporzione del 50% di abbienti e il resto di poveri e impoveriti, ma senza più speranza migliorativa. Pertanto il debito pubblico – a parte quello d’emergenza per l’epidemia – sta finanziando la crisi del sistema invece di risolverla e per questo è “cattivo”. Ma lo è perché finanzia un modello sbagliato.
Questo, poi, è malefico perché compromette il “progetto democratico” che si basa sul requisito del “capitalismo di massa”, cioè su una maggioranza di ricchi dove i poveri sperano di poter migliorare. L’impoverimento di massa e la perdita della fiducia, alla fine, distruggono la democrazia: questo è il rischio che stiamo correndo.
La politica non sta riuscendo a ridurlo: pressata dalla crescente domanda di assistenzialismo alloca in modo improduttivo le risorse fiscali e finanzia con debito il gap, peraltro tagliando la spesa modernizzante e di qualificazione per dare (piccoli) stipendi a chi li chiede.
Sul piano tecnico ciò favorisce una teoria (semi)sbagliata: non importa la quantità del debito, è rilevante mantenerne basso il costo. E costringe la politica monetaria a distorsioni crescenti che prima o poi diventeranno o crisi finanziarie o riduzioni forzate del debito stesso, ambedue distruttive.
La soluzione è passare dal welfare redistributivo-passivo, tenendo gli aiuti per il bisogno assoluto, a quello di investimento-attivo con la missione di trasformare i deboli in forti e (ri)configurare le regole di mercato per tale scopo. In questa missione il punto chiave è spendere almeno 10 volte di più per la formazione iniziale e continua del capitale umano allo scopo di dare un valore di mercato agli individui per ridurne il fabbisogno di assistenza.
Il finanziamento a debito di tale welfare trasformativo sarebbe “buono”. Pur frastornata dalle contingenze la politica dovrebbe capirlo.