Colpo su colpo sono cambiati capo del governo, del M5s e del Pd. Si tratta di tre “papi stranieri”: l’ex presidente della Bce, Letta da anni “esule” a Parigi, Conte nemmeno iscritto. Tre extraparlamentari che sembrano chiamati come “salvatori della Patria” a rimettere in piedi tre situazioni in un panorama di Parlamento e partiti che sembrano un po’ esausti e disorientati dopo esperienze fallimentari di destra e di sinistra. Non è però da escludere un corto circuito tra questi leader parallelamente “paracadutati”.
Nel discorso con cui – su mandato di Beppe Grillo – ha assunto la guida del M5s, Giuseppe Conte ha parlato di “rifondazione” e di “neomovimento” tratteggiando la trasformazione in un partito tradizionale con “commissioni tematiche” e “referenti territoriali”. Il cosiddetto “uno vale uno” cede il posto al primato della “competenza” e la democrazia diretta attraverso piattaforma digitale è additata con sospetto in quanto la gestione non sarebbe “neutrale”. Anche il carattere del M5s diventa, come già prefigurato da Di Maio, meno aggressivo e di tono “liberale e moderato”. Ma soprattutto il nuovo capo 5 Stelle ha parlato di un rilancio con obiettivi ambiziosi sulla scena politica.
In questo quadro quel che più colpisce nell’intervento di Conte è il silenzio su Draghi. In particolare, non una parola sull’attuale gestione della pandemia e del Recovery Plan. Un silenzio eloquente. In sostanza Conte rivendica la sua esperienza che è stata sfiduciata da Parlamento e Quirinale e non esprime alcun giudizio positivo sul governo né avanza proposte costruttive: non riconosce Draghi come primo interlocutore della sua azione politica, anzi lo ignora. L’annuncio della “rifondazione” per dar vita a un “mio movimento” ha il tono di un ritorno in campo per una rivincita volta alla riconquista di Palazzo Chigi.
A sua volta il nuovo leader del Pd è impegnato in una sorta di “rifondazione” del partito a cominciare dallo sforzo di rivitalizzare il radicamento territoriale. Ma anche Enrico Letta, al pari di Conte, sembra guardare soprattutto a organizzare il dopo Draghi. La priorità del leader del Pd è infatti la nuova legge elettorale insieme alla costruzione di una coalizione, da Speranza a Calenda, al di là delle prossime elezioni comunali in cui, in vari casi, i rapporti sono localmente compromessi. In sostanza Enrico Letta, come Giuseppe Conte, si muove mettendo in secondo piano l’azione dell’attuale governo se non per attaccare Salvini contro cui allestire una sorta di “fronte popolare” per le prossime elezioni politiche.
Di certo Matteo Salvini non manca di offrire munizioni agli avversari. In particolare, il vertice di Budapest ha rivelato una certa confusione politica. Il leader della Lega dichiara che l’obiettivo dell’incontro è la nascita di un nuovo soggetto nel Parlamento di Strasburgo denominato “Rinascimento europeo”, ma al termine non c’è nessuna “dichiarazione congiunta” né l’annunciata “Carta dei Valori”. Inoltre, ognuno rimane fermo nella casella di partenza: l’ungherese Orbán nel gruppo misto, il polacco Moraviecki in Ecr con Giorgia Meloni e Salvini in “Identità e democrazia” con la Le Pen.
È poi da vedere se Mario Draghi sia davvero una mera parentesi, un personaggio di serie B – isolato e irrilevante sulla scena internazionale e nel mondo economico-sociale italiano – come danno per scontato i leader del Pd e del M5s. Conte e Letta si stanno infatti comportando come se l’ex presidente della Bce e della Banca d’Italia fosse una sorta di impresa di pulizie chiamata a superare l’emergenza sanitaria ed economica – che la precedente alleanza tra i due loro partiti non era stata in grado di affrontare – per poi, dopo aver imbiancato Palazzo Chigi, uscire servilmente di scena per farli confortevolmente accomodare.
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