Conte regnerà tranquillo e indisturbato, perché l’opposizione non c’è. Lega e FdI “minacciano di andare al governo, ma si augurano che la scadenza elettorale sia più tardi possibile” dice Calogero Mannino, ex ministro Dc. Accade quando non c’è un progetto politico. Nemmeno a sinistra.

“Lo spettro che si agita – avverte Mannino – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle sardine”: lo stesso schieramento che eleggerà il nuovo capo dello Stato, per di più con la benedizione di Trump, nuovo involontario garante dello status quo.



Calogero Mannino, come mai questo governo non cade? Qual è la sua anomalia?

È conseguenza della crisi del Parlamento, come sede istituzionale della politica, cioè del confronto democratico. Non c’è un’opposizione che metta la pseudo-maggioranza di governo di fronte alle proprie responsabilità.

La Lega?

Soffre della disabilitazione operata dal sistema mediatico e dalla convergenza para-politica “al lupo al lupo”. Ma è, piuttosto, una tigre di carta: ha timore di risultare eccessivamente aggressiva, e al tempo stesso ha una debolezza organica, un deficit di consistenza politica. Non è un partito. Sta ancora sull’onda lunga della protesta leghista del 92.



Se non è un partito, che cos’è?

Uno spazio aperto dove si è imposta la leadership di Salvini in ragione della sua esuberanza. Ma Salvini non ha né una strategia, né un progetto politico preciso.

La Meloni? Oggi viene accreditata di simpatie atlantiche. Indispensabili per andare al governo.

La coerenza con la quale pratica il verbo sovran-nazionalista la rende gradita al giro di Trump.

Molti osservatori cominciano a supporre che Lega e FdI non facciano vera opposizione perché se domani andassero al governo non saprebbero cosa fare.

È un’osservazione che sta dentro il mio ragionamento. Non avendo un progetto politico non possono ambire di andare al governo. Devono minacciare di farlo, ma si augurano che la scadenza elettorale sia più tardi possibile. Temono di vincere, e offrono a questa maggioranza l’alibi-pretesto per rimanere in sella, peraltro ben utilizzato dal trasformismo di Conte.



L’unico serio problema per la tenuta della maggioranza sembra venire dalla dissoluzione o dalla rottura di M5s.

Sembra; ma è un’eventualità lontana dai fatti. Ogni giorno si accentua la polemica, ma al momento decisivo Di Maio si guarda bene dal rompere, perché non ha alternativa al restare al governo. Oggi M5s nella sostanza segue la linea Grillo-Fico.

Qual è il loro obiettivo?

Controllare i 5 Stelle una volta che saranno una corrente nel Pd.

Lei cosa vede all’orizzonte?

Lo spettro che si agita non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle sardine. Un rassemblement radicale di massa, con dentro la componente chic.

Cosa legittima questo scenario?

Il ruolo del Pd. Ha rinunciato anch’esso a essere un partito politico di garanzia democratica per porsi sul terreno movimentistico della resistenza alla Lega. In questa veste, ha aperto in tutte le direzioni. Non accorgendosi di una costante fondamentale.

Quale?

Ogni superamento della forma partito postula una cangiante versione del populismo. È un’osservazione facilmente verificabile dal ’92 a questa parte. Anche Berlusconi fu un movimento populista: così si oppose all’armata partitica di brancaleoniana memoria assoldata nel 1994 da Achille Occhetto.

E poi?

Assistiamo a qualcosa di simile nei maggiori paesi. I partiti pretendono di intercettare i movimenti, ma in questa operazione diventano instabili, mobili qual piuma al vento. Vale per Trump, per Spd e Cdu in Germania, per il Pse francese messo in crisi da Macron. 

Sarà questa legislatura a votare nel 2022 il nuovo capo dello Stato?

Al momento attuale, questa legislatura è intatta e intangibile. Quindi pronta per quella scadenza.

Cosa pensa dello strano intreccio tra nuova ipotesi di proporzionale, referendum Calderoli per il maggioritario e referendum contro il taglio dei parlamentari?

Alla fine nessuno vuole il proporzionale, tranne i più piccoli. Ma questi vorrebbero anche essere garantiti, e non potendo esserlo con il proporzionale, un sistema in parte maggioritario e in parte proporzionale come l’attuale rende loro possibile un’alleanza. A sinistra, con il Pd; e a destra, con la Lega.

La Consulta dirà se il referendum Calderoli è ammissibile. Intanto, ieri, Salvini e Meloni hanno detto sì al Mattarellum. Perché?

Siamo alle mosse tattiche. O facciamo la legge nuova insieme o insieme lasciamo l’attuale.

Tuto questo cosa significa?

Significa che la filosofia dominante, nell’attuale confusione temporale e spaziale, è hic manebimus optime. Tutti ragionano così: mi tengo quello che ho e sto bene dove sono. 

C’è in Italia un fattore imprevisto che può mettere in discussione questo status quo?

Mi pare molto difficile, perché l’attuale status quo dipende dal superamento della linea strategica rooseveltiana che l’America ha costruito dopo la seconda guerra mondiale. Oggi l’impero è in crisi e le province nel caos.

Ci spieghi meglio.

Gli Stati Uniti hanno organizzato l’impero per comparti. Uno è l’Europa: Italia, Francia e Germania facciano pure la Ceca, l’Euratom e tutto il resto, cioè l’Europa unita. Io – gli Usa – però ne dispongo, perché la Nato tiene l’Europa.

E qual è l’effetto-Trump in questo quadro?

Il sovranismo confusionario di Trump, inserito come elemento di contraddizione nell’attuale sgretolamento dell’assetto politico mondiale, ha un risultato sorprendente: non è avversario dello status quo, ne diviene causa e condizione.

Allora Washington ci dirà ancora chi mettere al Quirinale.

Assisteremo a un aggiustamento all’interno della maggioranza Pd-M5s.

Significa Conte al Colle e Zingaretti al Governo? O cos’altro?

Non riesco a seguire questo giochino di figurine. Vince chi soffia più forte.

(Federico Ferraù)