33.979 i nuovi casi e 546 i morti il 15 novembre. Campania e Toscana sono diventate rosse, Emilia-Romagna, Marche e Friuli-Venezia Giulia entrate in zona arancione. Poco più di un mese fa avevamo intervistato lo statistico Giuseppe Arbia per interpretare con lui i dati del contagio in Italia. Se allora non era possibile prevedere quando ci saremmo avvicinati al picco massimo, oggi Arbia, professore ordinario di Statistica economica all’Università Cattolica, avanza una previsione: a breve dovremmo raggiungere il picco dei contagi, superato il quale ci sarà da aspettarsi un calo assoluto dei numeri (di decessi e ricoverati in terapia intensiva). L’altra buona notizia è che dovremmo essere in grado, considerando i numeri su scala nazionale, di arrivare a quella data senza sfondare il tetto delle terapie intensive. La previsione deve però tenere conto di due dati che la “complicano”. E che ci costringono a navigare a vista.
Professore, guardiamo gli ultimi dati sul contagio. Come interpretarli?
Come ho già avuto modo di osservare, anzitutto il numero degli infetti non va guardato per avere una misura del grado di diffusione della malattia, ma solo per avere una misura della sua dinamica. Coi tamponi attuali stiamo andando a rilevare i sintomatici o coloro che sono stati a contatto coi sintomatici, quindi non dobbiamo spaventarci quando leggiamo ad esempio che il 16% dei tamponi sono positivi o che ci sono più di 40mila nuovi positivi in un giorno.
Anche perché, come spiegava nella nostra precedente intervista, i positivi sono molti di più.
Infatti il dato ufficiale è che le persone entrate in contatto col virus dall’inizio della pandemia sono intorno a un milione. Io invece sono fermamente convinto che siano molti di più. Nello studio che ho citato nella nostra precedente intervista avevamo stimato circa 6 milioni di persone entrate in contatto col virus. Abbiamo applicato lo stesso modello con dati più recenti e al 7 novembre siamo saliti a 9 milioni. Il numero di infetti attualmente è di molto superiore a quello che riteniamo, il che di per sé non è né una buona né una cattiva notizia, vuol dire che ci sono tantissimi asintomatici che sfuggono alla misurazione, quindi se ne troviamo 40mila in più ogni giorno è perché li stiamo andando a cercare, ma se analizzassimo tutta la popolazione italiana ne dovremmo avere 9 milioni, dunque non è questa la dinamica su cui ragionare.
E quale invece?
Gli indicatori maggiormente sensibili della gravità e della diffusione del virus sono due: i ricoverati in terapia intensiva e i decessi. Ora, abbiamo i dati giornalieri con la variazione dei ricoverati in terapia intensiva e oggi sono 60 in più di ieri, questo vuol dire che sono entrate alcune persone in terapia intensiva e che altre ne sono uscite, o per morte o per guarigione, che ovviamente fa una bella differenza!
Come va letto questo dato?
È importante non tanto per il dato assoluto, ma perché ci dice a che livello siamo giunti e quindi quanto ci stiamo avvicinando alla capacità massima di ricettività del sistema sanitario.
E poi?
E poi perché rileva appunto una dinamica e questa dinamica, quale che sia il motivo di entrata e uscita delle persone dalla terapia intensiva, ci dice che la settimana scorsa ne erano entrate in un giorno 200 in più, che questo valore in seguito è calato e che qualche giorno fa ne avevamo un centinaio, due giorni fa 110, ieri 89, oggi 60.
Questo cosa indica?
Questo indica che la dinamica del flusso, del saldo netto di entrata e uscita, sta rallentando. Uno potrebbe dire che sta rallentando perché stanno morendo tutti ma non è così, perché anche i decessi sono o stabili o in calo, come si vede dall’ultimo dato giornaliero. Mentre ieri ne avevamo 630, oggi ne abbiamo 550, quindi è una dinamica genuina: da una settimana a questa parte non è che stanno calando i ricoverati in terapia intensiva ma sta calando il ritmo di crescita, vuol dire che sulla curva dell’epidemia noi siamo ancora in salita ma abbiamo iniziato un rallentamento.
Ci stiamo avvicinando al picco?
Sì, ci stiamo avvicinando al picco nel quale ci sarà il massimo numero dei contagi, poi inizierà la discesa.
Quanto è vicino?
Quello che si può dire è che i decessi normalmente seguono di 10-15 giorni il ritmo delle terapie intensive, le terapie intensive stanno rallentando negli ultimi 10 giorni, il che ci fa sperare che quel dato di calo che ci ha fatto scendere da 636 a 550 morti, possa essere un inizio della flessione anche dei decessi. È presto per dirlo, perché un solo dato di caduta non può rappresentare una tendenza, però se da qui a mercoledì registriamo ancora dei cali probabilmente quel calo potrà essere interpretato come un trend.
E a quel punto che succede?
Vorrebbe dire che è vero quello che abbiamo previsto. Il sito alle cui ricerche anche io collaboro, CoVstat_IT, ha riaperto i battenti recentemente perché in questa fase così incerta era rischioso fare delle previsioni. Ebbene, adesso sembrerebbe che per i primi di dicembre potremmo cominciare a vedere scendere le ospedalizzazioni e quindi per metà dicembre potremmo iniziare a vedere anche un calo assoluto (non del ritmo giornaliero) dei decessi e dei ricoverati in terapia intensiva.
Questo cosa implicherebbe, nella pratica?
Naturalmente ci sono un sacco di condizionali, ma questo potrebbe voler dire che, se per i primi di dicembre comincia a calare il numero di ricoverati in terapia intensiva, da oggi a fine dicembre ci resterebbero da scontare ancora 2-3 settimane di crescita e poi, se il ritmo si mantiene su questi ritmi di 60-100 ricoveri gravi in terapia intensiva in più al giorno, il numero non dovrebbe arrivare a sfondare, a livello nazionale, il tetto dei posti disponibili. Ho sottolineato il dato nazionale perché poi è da vedere a livello regionale cosa accade.
Non si riesce a scorporare il dato a livello regionale?
Non si riesce perché non ci sono dati sufficienti. Noi conosciamo i dati comunicati tempo fa, ma non si ha notizia delle posizioni di terapia intensiva che devono essere create nel frattempo per espandere la disponibilità per regione, quindi ci dobbiamo basare su quei dati che abbiamo e basandoci su quei dati effettivamente ci sono regioni vicine all’80% dell’uso dei posti in terapia intensiva. Il decreto Rilancio prevedeva di aumentare i posti letti in modo che ogni regione avesse 14 posti letto ogni 100.000 abitanti, ma solo Veneto, Valle d’Aosta e Friuli hanno raggiunto questo obiettivo.
Un dato più preoccupante quindi.
Sì, e su questo aspetto va ricordata anche un’altra cosa. La terapia intensiva non serve solo per i malati di Covid ma il dato circa l’uso per altre patologie non è proprio disponibile purtroppo. Cioè non sappiamo quanti sono i posti di terapia intensiva che servono per patologie diverse dal Covid, non è un dato pubblico. Una regione può entrare in sofferenza non solo perché raggiunge il 100% dei posti occupati dai malati Covid, può entrare in sofferenza molto prima, perché alcune postazioni di terapia intensiva sono occupate da altre patologie, o può accadere di peggio, ad esempio che alcune persone si vedano rifiutate la possibilità di essere ricoverate in terapia intensiva per patologie diverse.
Spostandoci un po’ più in avanti, come potrebbe essere l’inizio del nuovo anno?
Difficile prevederlo, le previsioni possono essere fatte in una situazione di costanza delle misure di prevenzione. Già il fatto che la Toscana entri in zona rossa modifica, ad esempio, le nostre previsioni, anche se dovrebbe modificarle in meglio.
Le misure spostano anche il picco?
Se ci sono misure maggiormente restrittive non è che il picco si raggiunge prima, può darsi che anzi si raggiunga più tardi ma con livelli più bassi. È proprio questo ciò a cui le misure preventive puntano.
Cioè?
Le misure di contenimento del virus non tendono ad anticipare il picco. Anzi, da un certo punto di vista più tardi si raggiunge il picco meglio è, perché così si spalma lo stesso numero di infetti su un periodo più lungo e quindi si mette meno sotto stress il sistema sanitario.
L’attesa del picco è più un’ingenuità mediatica e del sentire comune?
Sì, infatti. È più importante il rallentamento della crescita.
Navighiamo a vista quindi. Le misure prese in Italia stanno funzionando?
È presto per dirlo, questo rallentamento dei ritmi che stiamo osservando nei ricoveri di terapia intensiva potrebbe essere dovuto alle misure prese sulla suddivisione delle regioni nelle fasce gialla, arancione e rossa del Dpcm del 3 novembre. Effettivamente da circa una settimana stiamo osservando questo rallentamento nelle terapie intensive e quindi potrebbe essere l’effetto delle misure introdotte. Però penso che non dobbiamo essere miopi sulla questione delle misure.
Che intende?
Misure maggiormente restrittive e mantenute più a lungo nel tempo, con qualche sacrificio in più oggi (naturalmente compensato da adeguati aiuti) si tradurranno in un beneficio futuro, un beneficio economico, intendo, non solo sanitario. È una visione miope quella che dice: non chiudiamo perché sennò l’economia entra in crisi. L’economia è in crisi comunque.
Quali sono gli esempi a cui guardare?
Ci sono Paesi che hanno portato i contagi a zero, come la Nuova Zelanda. La Cina ha adottato misure molto restrittive con sofferenze e grandi sacrifici economici, ma adesso dal punto di vista economico si è rilanciata. Quando usciremo dalla pandemia – perché questo succederà prima o poi, non sappiamo quando, ma succederà –, il Paese che ne uscirà stabilmente e per primo sarà anche quello maggiormente avvantaggiato dal punto di vista economico e occupazionale. Sarà anche quello che avrà meno problemi a rilanciarsi e con un grosso vantaggio competitivo sugli altri. Una pandemia costa, più a lungo dura e più costa, non solo per la riduzione dell’attività economica, ma anche per i costi connessi alle cure e ai trattamenti sanitari. Più siamo rigorosi nel suo contenimento oggi, più ci troveremo avvantaggiati domani.
(Emanuela Giacca)