I dati sui contagi e sulle conseguenze del Covid dimostrano che la fiammata infettiva in corso sta per spegnersi. Non solo siamo ben oltre il punto che, nella curva dei contagi (Figura 1), indica una chiara tendenza verso i valori minimi, ma anche la curva della mortalità (Figura 2) sta digradando verso il basso (sembra più lentamente poiché è più piatta), seppure con il fisiologico ritardo rispetto alla curva dei contagi. Siamo quindi in grado sia di prevedere quando finirà la fiammata, sia di stimare i decessi prima che accadano.



Figura 1. Nuovi contagi da Covid-19 in Italia; ultima rilevazione 25 settembre 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE)

 

Figura 2. Morti da Covid-19 in Italia; ultima rilevazione 25 settembre 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE)

La fiammata infettiva in corso dovrebbe finire verso la fine di ottobre e manifestare effetti letali fino ai primi di novembre. Se l’ipotesi è corretta, si può stimare che, alla fine, causerà circa 3.600 morti, con una media (la media è mobile su base settimanale) di 38 decessi al giorno e un picco di 60 verificatosi attorno alla seconda settimana di settembre. Se ne deduce che la presente fiammata è caratterizzata da un minor numero di contagi e da un ancora più ridotto tasso di mortalità per singolo contagio rispetto alle precedenti.



Questa fiammata è partita nell’ultima decade di luglio, quindi la durata varierà fra tre e quattro mesi. Le importanti fiammate del 2020 e 2021 sono state, invece, tutte superiori a quella in corso sia in relazione all’intensità (ossia alla quantità di popolazione coinvolta e alla gravità delle conseguenze), sia alla durata dei fenomeni infettivi. Se ne deduce che la minore circolazione del virus riduce non solo gli effetti della malattia, ma anche la durata delle fiammate.

Ragioniamo ora sulla possibilità che si verifichino altre fiammate dopo l’attuale. La storia della pandemia suggerisce che ce ne saranno altre. Vediamo perché.



Un primo assunto è che l’immunizzazione totale è impossibile. Vari indicatori convergono nel suggerire che saremo fortunati se arriveremo all’80%. Alcune autorità sanitarie sostengono addirittura che va vaccinato il 90% della popolazione, ma in cuor loro sanno che è impossibile.

Per far capire quanto sia utopico, basti considerare che la popolazione sotto i 12 anni – che non può essere vaccinata, stante che non c’è un vaccino specifico – ammonta in Italia al 10,1% del totale della popolazione. E, poiché anche i bambini e i giovanissimi vanno conteggiati tra i possibili veicoli di contagio, l’ipotesi di vaccinare il 90% della popolazione implicherebbe l’obbligo di vaccinare ogni italiano dai 12 anni in su.

Quindi, dobbiamo mirare più basso. Ad oggi, ha avuto una prima dose di vaccino il 74% della popolazione italiana ed è pienamente vaccinato il 67%. In agosto e settembre la vaccinazione è bruscamente rallentata ed è difficile che si ritorni ai livelli di consenso di prima dell’estate.

Quindi, se si confrontano queste percentuali con quelle diffuse qualche mese fa dall’Imperial College di Londra (https://ourworldindata.org/covid-vaccinations ), il quale stimava che in Italia esisteva un 15% di adulti restii a vaccinarsi e un altro 8% di incerti, è chiaro che sono state superate molte delle incertezze iniziali sui vaccini. È probabile che quasi tutti gli incerti abbiano deciso in senso positivo e che si sia vaccinato anche qualche contrario, ma lo zoccolo duro dei contrari non è stato intaccato.

Per raggiungere l’80% bisognerà trovare il modo di superare almeno una parte delle resistenze residue alla vaccinazione. Si tratta di resistenze forti, perché di origine ideologica, talvolta condite dal timore di effetti perversi dei vaccini. La scienza e lo Stato poco possono contro il pensiero viscerale. In ogni caso, come si vedrà nel seguito, il danno maggiore queste persone rischiano di farlo a loro stesse. Quello che è inaccettabile è che potrebbero fare del male agli altri. Consapevolmente.

Infatti, quanto più a lungo il virus circola, tanto più è probabile che generi varianti resistenti, almeno in parte, ai vaccini. Oggi si teme la variante giapponese, ma ne spunteranno chissà quante ancora dai paesi che sono in arretrato nella vaccinazione. Si noti che il Giappone è nel pieno della sua più importante fiammata infettiva, pur avendo vaccinato con prime dosi il 68% della popolazione. Inoltre, nel mondo, vari miliardi di persone non sono state vaccinate e possono così generare e veicolare nuove varianti. Rispetto ai danni che può fare, ogni variante è come un nuovo virus.

Un altro elemento da considerare è l’efficacia protettiva dei vaccini. Sappiamo che non è totale e che, pur essendo vaccinati, è possibile venire contagiati e, seppure raramente, subire dei danni anche seri. D’altra parte, è assodato che il vaccino è ampiamente protettivo sia contro il rischio di contagio, sia contro il rischio di effetti gravi in caso di contagio. È dunque verosimile che, ampliando e prolungando nel tempo l’immunizzazione della popolazione, eventuali future fiammate siano di intensità e gravità gradatamente minori.

Si può così affermare che chi si vaccina limita l’effetto del virus non solo per sé ma anche per chi non si vaccina. Ecco perché si dice che la vaccinazione, anche quando è incompleta, genera “immunità di gregge”.

Un ultimo elemento è la consapevolezza che l’immunizzazione naturale data dall’essere entrati in contatto con il virus si aggiunge, e in molti casi supera, la capacità protettiva del vaccino stesso. Però, in assenza di indagini sierologiche, non sappiamo chi è stato immunizzato e neppure quanti sono gli immuni per questa via. Sappiamo solo che, in Italia, gli immuni sono molti milioni.

Mettendo insieme tutti questi elementi, è quasi certo che ci saranno nuove fiammate epidemiche, le quali avranno, tuttavia, durata e impatto minori anche rispetto alla fiammata che sta per spegnersi. In Italia, in un anno, potrebbero essercene anche tre o quattro. Se l’impatto in termini di mortalità diminuisse ad ogni fiammata del 20% (probabile sovrastima), la prossima dovrebbe causare 2.900 morti, la successiva 2.300 e la terza 1.800. Ciò significa che nel prossimo anno i morti per Covid, in Italia, potrebbero essere quasi 7.000.

Questa cifra può fare impressione, ma è considerevolmente inferiore a quella di 50 mila britannici morti per Covid messa in conto dagli esperti del Governo del Regno Unito per l’anno che verrà. Questo Governo, infatti, stufo di sollecitare i cittadini a vaccinarsi (le prime dosi sono ferme al 71%), ha deciso di allentare la pressione per la vaccinazione e dare, invece, libero sfogo all’economia e alle relazioni sociali, lasciando al senso di responsabilità della gente il controllo sociale dei comportamenti da tenere. Non è escluso che la cifra ipotizzata dal Governo britannico sia una esagerazione diffusa per responsabilizzare la popolazione nel contenimento dell’infezione.

In ogni caso, anche il rischio di avere altri 7mila morti nel prossimo anno in Italia non è poca cosa. Chissà se questo numero, essendo quasi circoscritto ai non vaccinati, riuscirà a scuotere qualche altro adulto incerto sul vaccino.

Tutti, vaccinati o non vaccinati, dovremo convivere con il virus. Convivere con il virus significherà accettare un certo numero di ricoveri e di morti per Covid. Quanto a lungo dovremo conviverci non si sa, ma la scomparsa del virus non è prossima. Anche dopo le tre-quattro fiammate ipotizzate per il prossimo anno ci saranno in Italia altri episodi di infezione, ricoveri ospedalieri in terapia intensiva, decessi.

Quando, tra non molto, scenderemo sotto i 20 morti al giorno, di morti causate dai virus ne avremo lo stesso varie migliaia l’anno. Tanto per fare confronti con il periodo pre-Covid, nell’inverno tra il 2016 e il 2017 e in quello tra il 2017 e il 2018, i morti causati dall’influenza per cause virali sono stati tra 200 e 300 al giorno, per cui si stima che l’influenza causi almeno 18mila morti l’anno.

I numeri che abbiamo prodotto indicano che siamo ritornati alla normalità pre-Covid, il che significa che presto dovremo cambiare preoccupazioni, sia in ambito sanitario, con una maggiore attenzione ad altre gravi malattie, sia nel più vasto contesto socio-economico. Tra poco, infatti, verranno a galla i problemi strutturali del Paese sopiti durante la pandemia a cui si aggiungeranno quelli causati dalla pandemia stessa.

Meno male che i problemi che credevamo solo nostri – poiché ne avevamo accumulato molti di più che i paesi del Centro e del Nord dell’Europa – si sono dimostrati problemi di tutti i paesi europei. La pandemia ha reso più disponibili a destini comuni persino certi paesi europei che non sono mai stati teneri con quelli mediterranei.

Inoltre, verificheremo se il sentimento di forte compartecipazione sociale dimostrato dagli italiani durante la pandemia avrà echi anche nel futuro. Dovremo, infatti, essere molto più vitali di prima nella creazione e nella messa in circolo di risorse economiche, nel rinverdimento generazionale, nel rapporto cittadino-Stato, nella salvaguardia della sostenibilità ambientale, tanto per segnalare gli ambiti più urgenti. Un guaio come il virus potrebbe così innescare delle opportunità.

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